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dei liberi pensatori

Conferenza di Silva Bon Presidente del Centro L.Gasparini - Prolusione di Dario Mattiussi Segretario del Centro L.Gasparini
Letture di Lucia German

Venerdì 10 febbraio 2017 ricorrevano esattamente settant'anni dalla stipula del Trattato di Pace di Parigi. Proprio in quello stesso giorno del lontano 10 febbraio 1947 Guido Miglia abbandona Pola. Ricorda in Dentro l'Istria. Diario 1945-1947:

Ho atteso questo dieci febbraio nella trepidazione della notte insonne, fuori il vento ha fischiato sinistro, un lampione tremava e gettava la sua povera luce fredda nella mia finestra vuota; poi con la grande valigia ho camminato sulle strade della mia città quando il cielo era ancora buio, gli alberi dei Giardini erano scossi dal vento. Lungo il Corso stretto mi seguiva il vento, che veniva gelido dal mare, molti negozi erano senza vetrine, strappati anche i vetri e le saracinesche, come volti senza occhi, i portoni dei palazzi erano aperti, le imposte lasciate libere si aprivano e si chiudevano nelle case abbandonate, come tombe scoperchiate.
Un vecchio, prima di salire sulla nave, si inchinò fino a terra e la baciò, poi si mise sulla poppa e io vidi la sua schiena che sussultava in un tremito convulso. Guardai ancora una volta la splendida banchina della mia riva, l'Arena e il palazzo dell'Ammiragliato, il ponte di Scoglio Olivi, le piccole case sulla mia collina, e scesi sotto coperta a fissare intontito la mia valigia.

Questa è Pola. Questi sono i ricordi, le emozioni di Guido Miglia legate alle ore dell'Esodo.
La firma del Trattato di Pace sancisce per l'Italia la perdita dell'Istria, di Fiume e della Dalmazia; l'Esodo coinvolge il 90% della popolazione residente, di estrazione non solo borghese, non solo appartenente alle classi affluenti, ma anche operai, contadini, pescatori, artigiani.
Dal giugno 1945 al febbraio 1947 Pola era sotto il governo alleato e Guido Miglia vi era tornato da Trieste, richiamato a Pola in qualità di direttore de “L'Arena di Pola”, quotidiano italiano del CLN, profondamente impegnato contro la politica filojugoslava e contro l'annessione dell'Istria alla Repubblica Federativa di Jugoslavia. Guido Miglia dopo l'8 settembre 1943 aveva momentaneamente lasciato Pola per rifugiarsi a Trieste, accolto e aiutato da amici istriani tra i quali emergeva la figura dello scrittore e intellettuale Pier Antonio Quarantotti Gambini; Miglia, antifascista aderente a “Giustizia e Libertà”, lottava nella Resistenza italiana.

Chi è Guido Miglia?

Lui nasce a Pola nel 1919, figlio di operai: il padre lavorava al Cantiere di Scoglio Olivi, la madre proveniva da Orsera ed era di ascendenza croata.
Miglia frequenta gli istituti magistrali e diviene maestro. La prima nomina lo porta a insegnare nell'interno dell'Istria, in un paese dei dintorni di Gimino. Anni dopo ricorda e scrive della sua presenza di “maestro straniero”, là di fronte ai suoi alunni che non conoscono la lingua italiana se non in misura frammentaria. Ricorda con commozione il bambino piangente che scusandosi, tra le lacrime, riesce solo a dire che non frequenta la scuola regolarmente perché suo padre lo manda a “pasculat”.

Nel 1942 Guido Miglia si laurea ad Urbino con Carlo Bo, con una tesi su Cervantes. Continua ad insegnare, ma sono gli anni di guerra e lui partecipa ed è coinvolto nella Resistenza italiana a Trieste. Porta avanti le sue idee socialiste riformiste; è anticomunista, antifascista, antinazionalista. E vive e parla del dramma degli italiani e della cultura italiana in Istria:

E proprio per spezzare gli equivoci tra le due parti, prima quelli generati dall'odio ed ora da una forma di amicizia che tende a diventare retorica – secondo un vecchio costume italiano – ho detto ai conterranei sloveni che una delle tante sciagure al confine orientale è quella di conoscersi troppo poco, se non addirittura di ignorarci; eppure siamo impastati della stessa terra, direi dello stesso sangue, da sempre, anche se ci ha diviso la lingua, per colpe che non sono nostre. Non occorre – ho scritto loro – ch'io vi ricordi gli errori drammatici del nazionalismo italiano, che ha impedito, ancor prima che il fascismo nascesse, di vedere i problemi che scuotevano la vostra anima, le speranze che voi avete coltivato da lungo tempo, tenuti così spesso ai margini, e tante volte considerati di una razza inferiore, con un'offesa che è impossibile dimenticare, e che si è scaricata con violenza subito dopo la seconda guerra, interpretata questa volta dalle rivendicazioni di Tito su tutta la Venezia Giulia, sulla parte slovena e croata – com'era legittimo e naturale – ma anche su quella veneta … Noi sappiamo bene che trecentomila nostri conterranei hanno abbandonato la loro terra natale – parlo di quella terra che era quasi compattamente veneta, da mille anni – ed oggi vivono dispersi in ogni parte del mondo e non contano nulla. Non parlo, si capisce, dei responsabili della ferocia fascista, che stanno alla radice della tragedia istriana, ma di tutti i miei conterranei poveri, operai, contadini, piccoli impiegati, piccoli proprietari terrieri, pescatori, che hanno perduto la loro patria, perché patria è la terra delle proprie radici, della propria casa natale, dei propri cimiteri. Non doveva andare dall'altra parte la costa occidentale istriana, da Capodistria a Pola, proprio secondo la linea proposta dal governo inglese …

Il riferimento storiografico allude alla linea di demarcazione tra Italia e Jugoslavia proposta dal generale inglese Wilson ancora nel 1919, che divideva l'Istria veneta, occidentale, italiana, da quella interna, slovena e croata.
Interessante e notevole è ricordare che Guido Miglia non parla agli sloveni e ai croati né con odio né con risentimento.
Lui è il primo a ritornare a Pola e in Istria già nei primi anni Cinquanta del Novecento. C'è una bellissima pagina in cui scrive di aver rivisto la sua casa, la finestra cui si affacciava sua madre ad attenderlo, ma fuori dal portone escono estranei tanto lontani dal tumulto dei suoi sentimenti … Un'emozione e una sofferenza indescrivibili.

Nel 1968 Guido Miglia pubblica Bozzetti Istriani, il primo di tanti volumi, saggi, articoli che propongono una rivisitazione mitica e mitologizzata dell'Istria arcaica, patriarcale, conservatrice, tradizionale; un riandare che provoca da un lato sensazioni agro/dolci, dolce/amari, da un lato la consolazione del rivedere la propria terra, le bellezze naturali, l'incanto del mare, dei boschi, della campagna, gli odori, i sapori nelle case, nelle cucine, nelle cantine; dall'altro il dolore della consapevolezza di aver perduto tutto, ingiustamente e senza colpa.

Devastato dal dolore, accusa l'Italia di aver conosciuto l'Istria poco e male.

Ma vive in lui ancora la speranza, una speranza per la sopravvivenza della cultura italiana, riposta nei pochi rimasti. Da qui nasce l'appello ad un'Europa valida, unita, civile; nascono le speranze della trasmissione culturale, della testimonianza di una civiltà da parte di chi non è andato via.
Guido Miglia a Trieste ha fondato la rivista “Trieste”, da lui diretta dal 1954 al 1959. Ha collaborato attivamente, negli anni Settanta, con proprie rubriche settimanali pubblicate su “Il Piccolo”, e con trasmissioni radiofoniche alla RAI, dove ritorna negli anni Novanta. Ha scritto per il quotidiano sloveno di Trieste “Primorski Dnevnik” e per la rivista “Most” (Ponte) e naturalmente per i giornali degli esuli giuliani fiumani dalmati, “La Voce Giuliana”, e i giornali di cultura italiana espressi dai rimasti, per esempio la rivista “La battana”. Ha collaborato con l'Università Popolare di Trieste, nel diffondere e rinsaldare la conoscenza della lingua italiana in Istria; è tra i fondatori del “Circolo Istria”.

Fino al 1971 ha insegnato negli istituti superiori di Trieste, e ha ricoperto il ruolo ambito di Preside di Istituti Tecnici a Udine e a Trieste, intervenendo in prima persona per implementare le scuole da lui dirette e per parlare dei problemi del mondo giovanile, anche negli anni difficili della contestazione studentesca.

Guido Miglia muore a Trieste nel 2009.

Silva Bon

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