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dei liberi pensatori

di Carmen Palazzolo

L’opinione di Daniele Scalea
Fondatore e Presidente del Centro Studi Machiavelli. Laureato in Scienze storiche all’Università degli Studi di Milano) e Dottore di ricerca in Studi politici all’Università Sapienza; docente di "Storia e dottrina del jihadismo" e "Geopolitica del Medio Oriente" all'Università Cusano.

Dal momento che non ho la pazienza di leggere il volume, riporto il commento del libro del prof. Scalea, meno il suo giudizio lasciando che il lettore se ne faccia uno personale.

Il mondo al contrario

Vannacci ritiene che una caratteristica precipua dell’oggi sia il muoversi della società in senso antitetico rispetto alla razionalità e al sentire comune: da qui il titolo del libro. Minoranze organizzate – spiega il Generale – stanno sovvertendo tutto ciò che la maggioranza considera(va) normalità:
Un vero e proprio assalto alla normalità che, in nome delle minoranze che non vi si inquadrano, dev’essere distrutta, abolita, squalificata facendo in modo che il marginale prevalga sulla norma generale e sul consueto.


Varie condizioni di eccezionalità sono inserite a forza in una concezione sovra-dimensionata della “normalità”. Le percezioni soggettive stanno prendendo il sopravvento sulla realtà oggettiva perché, per essere “inclusivi”, quelle di talune categorie vanno accettate senza discussione. A questa cancellazione della normalità il Generale ritiene di poter opporre il ritorno al “Buonsenso”, sui cui contorni è invero piuttosto vago, ma che sembra ricondurre ai valori e giudizi trasmessici dai nostri avi.

 

Ambientalismo

Vannacci dichiara di credere al cambiamento climatico d’origine antropica e persino che esso sia significativo, ma contesta: a) che si proceda verso un’apocalisse, visto che la Terra ha sperimentato cambiamenti ben più drastici; b) che si possa porre rimedio alla situazione con politiche de-cresciste. Sono le società sviluppate, afferma, quelle in grado di attuare misure ambientaliste. Perciò è necessario abbandonare gli isterismi alla Greta Thunberg, le visioni manichee della natura “buona” e dell’uomo “cattivo”, e concentrarsi sull’adattamento alle mutate condizioni climatiche. Vannacci dedica diverse pagine a supporto, tra le altre cose, degli organismi geneticamente modificati. Approva la transizione energetica ma ritiene che debba procedere in maniera lenta e graduale, e che non possa escludere il nucleare.
Un capitolo a parte è dedicato al fenomeno dell’animalismo. Vannacci se la prende non solo con le manifestazioni più radicali, come i vegani o coloro che vorrebbero sottrarre in toto gli animali dallo sfruttamento dell’uomo, ma pure con la crescente “antropomorfizzazione” degli animali domestici. Ormai il loro numero supera di gran lunga quello dei bambini e così anche la spesa privata che gli italiani vi dedicano è di molte volte maggiore di quella destinata agli infanti. Rimettere al primo posto gli esseri umani è l’appello lanciato dal Generale nel suo libro.

Immigrazione

Le società si formano attorno a culture e valori comuni. Un popolo si identifica nel patrimonio comune di tradizioni militari, culturali, linguistiche e religiose. Il lavoro e i sacrifici degli avi hanno permesso di far coincidere quel patrimonio con le istituzioni politiche in uno Stato nazionale.
Il multiculturalismo, ammonisce Vannacci, mette a repentaglio coesione e stabilità cercando di includere in una società valori estranei. Secondo il multiculturalismo, bisognerebbe introdurre “diritti differenziati” e la possibilità per comunità interne di auto-governarsi secondo proprie leggi. Ma gli Stati riescono a garantire la pacifica convivenza tra etnie solo in presenza di una dominante, che impone norme comuni.
Vannacci rivendica il diritto di prediligere la propria cultura, quella italiana. Non disprezza le altre, ma ritiene che in Italia debba continuare a prevalere quella tramandata dagli avi. Il Generale non ne fa una questione etnica – più volte ribadisce che secondo lui non si tratta di fattore determinante per individuare un popolo – ma pretende che gli immigrati assimilino la cultura nazionale.

In questi passaggi v’è la controversa affermazione, a dire il vero piuttosto slegata dal resto del discorso in cui è inserita, riguardo la pallavolista Paola Egonu, di origini nigeriane: “[…] anche se Paola Egonu è italiana di cittadinanza, è evidente che i suoi tratti somatici non rappresentano l’italianità che si può invece scorgere in tutti gli affreschi, i quadri e le statue che dagli etruschi sono giunti ai giorni nostri”. Quest’affermazione avrebbe potuto ispirare a Vannacci più approfondite riflessioni circa le dimensioni etniche della nazionalità, ma essa rimane isolata nel testo. Dunque, tutto ciò che egli si limita ad affermare è che il prototipo somatico dell’italiano, così come è stato per millenni e invero è ancora oggi in (svanente) maggioranza, non ha la pelle nera o altri tratti tipicamente africani.
Francamente, se qualcuno a destra si scandalizza per ciò, allora coerentemente dovrebbe anche accettare che Netflix e il resto dell’industria culturale procedano alla riscrittura della storia europea assegnando falsamente colori di pelle nera a personaggi storici bianchi. Se scandalizza la frase di Vannacci, non si capisce nemmeno come si possa poi sostenere che la sostituzione etnica sarebbe un problema.

Legittima difesa

Il Generale lamenta che in Italia le leggi sembrino tutelare più i criminali che gli onesti cittadini, com’è nel caso degli occupanti abusivi di case. Inoltre, propone che nel valutare la proporzionalità nella legittima difesa si considerino non le situazioni oggettive, così come note al soggetto giudicante, ma la percezione di pericolo che al momento aveva chi si trovava suo malgrado a doversi difendere da un’aggressione.

Patria

Vannacci rivendica il suo patriottismo e si duole che in Italia, ormai, non si utilizzi più il termine “Patria” e che i maggiori simboli della stessa – l’inno e la bandiera – siano sempre più nascosti. La sua proposta è di reinserire questi simboli nella vita quotidiana, principalmente in quella scolastica dei giovanissimi, e di rendere più stringenti i criteri per l’acquisizione di cittadinanza: conoscenza della lingua, dell’inno, della bandiera, della storia.
Anche in questo capitolo traspare come il Generale consideri il fattore culturale la principale caratteristica che definisce la nazionalità. Egli, correttamente, scrive che non si nasce per caso in un posto, ma perché si è figli proprio dei nostri genitori: si entra cioè al mondo come parte, non casuale, di una stirpe. Tuttavia, reitera l’idea che il modo in cui si viene educati sia il fattore determinante: l’origine “biologica” conta solo nella misura in cui essa è “mezzo” per trasmettere determinati valori.

Gender

Si tratta del capitolo più contestato del libro. Vannacci sembrava già vaticinarlo mentre scriveva, poiché lo apre descrivendo le esortazioni degli amici a lasciar perdere l’argomento. Spiega che inizialmente aveva deciso di omettere questo capitolo, ma si è infine deciso a vergarlo perché se non prendi una posizione non avrai nessuno contro di te, ma neanche con te”.
L’opinione del Generale è che l’omosessualità debba essere del tutto lecita, come lo è divenuta nell’epoca più recente, ma rimanere relegata alla sfera della sessualità e non entrare in quella della famiglia. La parte più “controversa” del libro è però quella in cui l’autore si interroga sul carattere di “normalità” e “naturalità” dell’omosessualità e del transgenderismo. Da un lato, afferma il Generale, per mero calcolo statistico si può appurare che essi non siano la norma, ma che costituiscano una eccezione. Dall’altro, riconosce che l’omosessualità è presente in natura, ancorché rara, ma è assente come modello familiare.
Qui v’è la tanto contestata frase: “Cari omosessuali, normali non lo siete, fatevene una ragione!” – la quale, però, si limita a ribadire, in maniera forse provocatoria, quanto sopra affermato: ossia che la normalità, nell’uomo come nella stragrande maggioranza delle specie animali, sia l’accoppiamento tra maschi e femmine, la famiglia costituita da un maschio e una femmina.

Vannacci non contesta la liceità delle pratiche omosessuali, non contesta il rispetto dovuto anche agli omosessuali e i diritti recentemente acquisiti – ivi inclusi, lo dice esplicitamente, le unioni civili. Ciò che contesta è la pretesa di essere riconosciuti come “normalità”, ossia in tutto e per tutto alla pari e intercambiabili con l’unione eterosessuale. Del resto – aggiungiamo noi – alla patente di “normalità” deve necessariamente seguire il riconoscimento paritario del matrimonio omosessuale e la possibilità di adottare figli: come infatti si potrebbe giustificare una sperequazione di trattamento tra due coppie eguali?
In questo capitolo meno che negli altri Vannacci ha peli sulla lingua. Denuncia e descrive minuziosamente l’azione di una lobby per diffondere e normalizzare le pratiche omosessuali, con obiettivo finale i matrimoni e la genitorialità.

Il punto su cui interrogarsi non è tanto se si condividano le idee del Generale, ma se debbano essere proscritte e dichiarate inconciliabili col servizio allo Stato. Chi credesse che l’omosessualità non sia la normalità, che la famiglia sia solo l’unione tra uomo e donna, che gruppi di pressione promuovano il transgenderismo, merita perciò di essere punito? Tali opinioni sono incompatibili con l’appartenenza alle nostre Forze Armate?


 Commenti

Grazie per avermi fatto leggere queste prime righe. Arrivata al concetto di immigrazione mi sono rifiutata di andare avanti: mi ricorda molto da vicino il manifesto della razza (italiana) pubblicato il 5 agosto 1938. In esso si dice che gli italiani sono una razza distinguibile dal loro sangue poichè dai Longobardi in poi non furono se non marginalmente conquistati.
Questo fece di noi giuliani-dalmati e fiumani degli italiani di serie B (vedasi lettera del ex podestà di pola Draghicchio dell'ottobre 1943). Parrebbe che il generale confonda i termini 'razza' e 'etnia'.
Detto questo, è un libro che non comprerò, poiché ritengo che un pubblico dipendente (e quindi tanto più un generale) debba misurare i suoi comportamenti e le sue parole anche nel tempo libro. Almeno questo ci impegnavamo a fare noi che agli inizi degli anni ottanta giuravamo fedeltà al nostro Ente, all'epoca Provincia di Venezia, oggi Città metropolitana di Venezia.
Patrizia Lucchi Vedaldi

 

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