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dei liberi pensatori

di Carlo Cremonesi

Nell'Unione Europea (28 Stati) risiedono regolarmente 38,6mln di stranieri, a fronte di 515mln di abitanti (fonte: Organizzazione Internazionale delle Migrazioni). In Italia sono 6mln gli stranieri regolari, a fronte di poco più di 60mln di abitanti (fonte: ISTAT). Nella U.E. poco meno di 995mila stranieri legali hanno richiesto ed ottenuto la cittadinanza della nazione europea ospitante (fonte: Eurostat, 2017 anno di riferimento). In Italia lo stesso provvedimento ha riguardato poco meno di 147mila persone (fonte: ISTAT, 2017).

Gli arrivi nell'UE da paesi non comunitari sono stati 45mila al primo semestre 2018, rispetto al milione dello stesso periodo del 2015 (fonte: Unhcr). In Italia gli arrivi via mare dall'Africa sono stati poco meno di 16.600 al primo semestre 2018, rispetto agli oltre 153mila del 2015 (fonte: Unhcr). I migranti africani presenti presso i vari centri di accoglienza e richiedenti asilo sono al primo semestre 2018 pari a 165mila, mentre ammontavano a 184mila nell'anno precedente (fonte: Fondazione Migrantes).

Questi numeri, ancorché non esaustivi, attestano che nell'area europea l'immigrazione è un fenomeno significativo, anche se oggettivamente circoscritto. Oggi è un tema complesso e in sé delicato, perché riguarda persone in fuga dall'Africa per ragioni per esse costrittive. Esse giungono con uno stato giuridico da ricostruire, fuori da ogni pianificazione concordata fra Stati, sprovviste di tutto se non dei soli abiti che indossano, richiedono una gestione di accoglienza non facile e con non pochi connessi problemi, in senso lato, politici. Tutto questo mentre la globalizzazione diffonde le sue criticità, le economie non brillano mentre la finanza assicura ricchezza per pochi, le fabbriche industriali hanno una mobilità un tempo impensabile e, infine, l'Unione Europea non è proprio nel suo migliore momento d'esistenza. Ciò detto, non sorprende che in Italia ci sia un peculiare allarme immigrazione connesso, magari, alla cronaca degli sbarchi; semmai, spiace la generale disconoscenza della qualità del fenomeno. Specificatamente, è mal tollerata la presenza dell'immigrato negro, ma senza alcuna memoria per le circa venti comunità straniere non comunitarie già presenti in ambito nazionale (Albania, Marocco, Cina, Filippine, per citarne alcune).

Gl'immigrati africani generano un profondo disagio con la loro povertà. Non solo. L'ancestrale diversità degli africani suscita una, come dire, naturale repulsione per lo straniero, per il diverso, culturalmente marchiato dal colore della pelle. Interroga la loro forza a sfidare il proprio destino al prezzo del rischio ineludibile di morte. Frastorna la problematica scelta morale se soccorrerli o abbandonarli a se stessi. Si distoglie lo sguardo infastidito dalla loro povertà, salvo poi scandalizzarsi nel ritrovarseli mendicanti. In conclusione, la generale percezione genera lo stato d'animo di chi subisce un'invasione e rileva a gran voce l'emergenza immigrazione, al punto da ritenere che la gran parte degli immigrati sia costituita da illegali e clandestini, persino unici responsabili dei molti malesseri sociali configurati tra il semplice furto e la minaccia per la propria identità e per la loro sostenibilità economica e finanziaria.
Pur tuttavia, è errato parlare d'invasione che, tecnicamente, significa occupazione e conquista di terre altrui e sottomissione di popoli. Nulla di tutto ciò sta accadendo oggi ad opera degli africani migranti. Dall'Africa non arrivano sulle nostre coste uomini in armi, ma persone con mezzi di fortuna, numericamente limitati, senza l'animo dei conquistatori e senza la compresenza di mercanti e missionari, come peraltro proprio noi abbiamo loro insegnato ieri ai tempi delle Crociate (sette tra X e XIII secolo), oggi con l'impiego disinvolto ed egoista degli strumenti dell'economia e della finanza. La loro è una migrazione inerme e forzata da motivi politici ed economici, che si affida alla tutela delle norme di diritto occidentali ed internazionali.

La percezione, altro argomento, è un processo conoscitivo delle realtà esterne da ciascuno elaborate in base alle proprie attitudini mentali e alla propria sensibilità culturale, ma è anche uno stato condizionato dalla globalità delle informazioni strutturate dei diversi canali della comunicazione. In questo senso, la percezione sociale è in sé un'interpretazione dei fatti in corso e, come tale, non è un assoluto ma un'ipotesi da provare per essere confermata o rigettata o corretta. Dunque, la percezione non rileva il fatto oggettivo, ma si alimenta delle proprie sensazioni e perciò solo ritenute sempre vere. Anche il miraggio è una percezione, ma la scienza insegna che ciò che si vede non è reale; piuttosto, è un'illusione ottica dovuta alla rifrazione dei raggi luminosi attraverso strati atmosferici di densità diversa. Questo fenomeno, quindi, è dato in specifiche condizioni, non è duraturo, è inconsistente nella sostanza, è distraente e, in questo senso, fonte di pericoli. In ambito sociale il similare fenomeno della percezione è altrettanto fallace e rovinoso se non razionalizzato; in ogni caso, la percezione è un processo emotivo che normalmente vela la realtà intorno e distrae dalle sue complessità che, pertanto, non verranno dipanate e risolte, mentre prima o poi si imporranno in misura aggravata.

La percezione e la bolla delle connesse emozioni oggi sono dinamiche relazionali nell'agorà virtuale, frequentata da molti e in solitudine. Nella piazza fisica di un tempo antico il confronto e la verifica delle proprie convinzioni stava nel faccia a faccia, nell'incrocio degli sguardi, nel tono della conversazione, nella gesticolazione e postura dei corpi. Oggi davanti al mezzo informatico si è soli con se stessi, con i propri stati d'animo acriticamente affermati nella loro mutabilità quotidiana. In assenza di qualsivoglia mediazione reale si dà la stura alle proprie idee, confortati solo dai like di approvazione che, con anche quelli di disapprovazione, confermano di avere un seguito. Dunque, sconnessi dalla realtà e attivi nella connessione virtuale si perde di vista che in quei numeri, in inizio citati e comunque elaborati, ci stanno uomini. Nient'altro che uomini.

Fuori da ogni pudore, dobbiamo ammettere che lo straniero è per molti una presenza contraria che suscita risentimenti. Privo di tutto esso coglie anche le più povere occasioni di lavoro senza alcuna di fatto contropartita contrattuale, come indifferente alle condizioni di un'economia sfilacciata e un'offerta di lavoro disarticolata e al di sotto delle aspettative, al punto da essere rifiutata e persino non ricercata dai residenti locali. Di fronte a un futuro precluso e alla pressione degli immigrati, ciò che molti settori sociali chiedono alle istituzioni pubbliche è null'altro che protezione e sicurezza. Questa urgenza, che pare non guardare al futuro, nei social media si fa massa critica, si auto-genera e trasforma l'immigrato nel capro espiatorio del disagio e malessere sociali. Questa visione delle cose ancorché diffusa non può rappresentare, con ogni evidenza, la società nel suo insieme. Sono quindi disponibili spazio e risorse per rompere la pervasiva percezione dell'assedio e contrastare l'idea che lo straniero sia il nemico. Questa reazione deve a sua volta farsi massa critica senza, peraltro, rivalità verso alcuni e tanto meno in contrapposizione con i decisori politici. È necessario ripensare l'impatto dell'immigrazione, peraltro a lungo sottovalutato, e dare nuovo credibile indirizzo all'economia nella visione dei diritti umanitari che riguardano ogni uomo.

A questo fine lo strumento idoneo è la formulazione di una nuova cultura umanistica. Cultura è formazione dell'uomo attraverso la conoscenza della Storia e del pensiero che l'attraversa. Cosa che significa farsi soggetto attivo e non passivo nel mondo dell'informazione, farsi presenza costruttiva nei profondi processi della comunicazione culturale anche attraverso confronti diffusi e continui. Questa cultura deve rieducare il linguaggio e canalizzare i valori di solidarietà, fraternità, compassione, oggi corrotti dagli egoismi imperanti. Deve aprire alla relazione mediata dal reciproco confronto affinché ciascuno trovi la forza per affrontare la realtà intorno superando al meglio le inevitabili conflittualità. Deve ricostruire il senso dell'unione sociale, oggi rotta dal sospetto e dalle paure. Deve includere ogni componente della società, che sia il consueto noto emarginato o l'immigrato. L'orizzonte di questo processo è l'integrazione attraverso l'accesso alla scuola, alla buona formazione, all'apprendimento della lingua, alle eguali possibilità di inserimento lavorativo; pratiche che, se giustamente perseguite, immunizzano la società dall'illegalità. La cultura deve essere proattiva e affrontare le proprie responsabilità, essendo queste non inferiori a quelle della politica.
Questo cammino educativo e formativo pone l'uomo al centro delle sue attenzioni, l'uomo senza alcun aggettivo e nell'integrità della sua dignità. L'uomo che nessuno, assolutamente nessuno, è autorizzato a contrassegnare, a qualunque ragione, con una dignità sì e una dignità no.

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