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dei liberi pensatori

di Carlo Cremonesi

Il quotidiano indipendente La Verità di Maurizio Belpietro, nell'edizione del 14 gennaio, ha pubblicato l'intervista al Vescovo di Trieste, Monsignor Giampaolo Crepaldi, a firma di Lorenzo Bertocchi, con il titolo "Non esiste alcun diritto di emigrare". Il giorno dopo il Ministro degli Interni ha postato l'articolo sul proprio blog e ringraziato il prelato a mani giunte, sollecitando i like dei propri seguaci e la diffusione via facebook, twitter e instagram. L'edizione del 16 gennaio de Il Piccolo di Trieste, ha riportato in seconda e terza pagina l'intera vicenda, dando anche conto della presa di distanza del Vescovo dall'abbraccio non richiesto. Al momento la vicenda sembra essere così conclusa e, allora, nel silenzio della cronaca è possibile fare qualche pacata riflessione sull'accaduto.

La Chiesa, la nostra Chiesa cattolica, sta al momento vivendo un evidente disagio, non solo per i più ampi mutamenti sociali e politici in corso dovuti ai processi di globalizzazione e informatizzazione, ma più ancora per non risolte questioni interne sia di ordine economico e finanziario sia sessuale, che coinvolgono ecclesiastici di ogni ordine e grado e ovunque là dove sono presenti. In questo generale quadro di crisi hanno facile gioco le resistenze a intraprendere, senza riserve di alcun genere, la strada tracciata dal Concilio Vaticano II. Non per niente papa Francesco, che testimonia la parola del Vangelo con concrete aperture verso gli emarginati, tra cui include con sistematicità i migranti sin dall'inizio del suo pontificato, è il bersaglio preferito di chi nel tradizionale intendimento del Vangelo è convinto di dover proteggere la Chiesa cattolica istituendo rifiuti e chiusure verso realtà umane che possono minare le sacre stanze vaticane e la fede in Cristo. Infatti, a sostegno e difesa delle argomentazioni da Mons. Crepaldi sostenute nell'intervista, viene citato il magistero non dell'umanitario Giovanni XXIII, non di papa Francesco che del Vangelo ne fa una fiaccola da portare tra gli uomini, non di papa Montini combattuto tra le novità del tempo nuovo e le resistenze del vecchio, ma vengono opposte le sottigliezze teologiche di Ratzinger e le tonanti affermazioni di Wojtyla, non proprio araldi delle aperture verso la modernità del Vaticano II.

La controversia sta nel contrapporre al diritto di emigrare il diritto a non emigrare, che così posto è un ossimoro. Ora, a parte il difficile, se non disumano, contesto socio-economico che riguarda, sia pure in grado e misura diversi, sia il ricco occidente sia il travagliato oriente, chiaro è che la decisione di emigrare non è mai indolore, anzi è una lacerazione individuale e sociale. Oggi, lo si voglia o no ammettere, l'emigrazione è obbligata sia da ragioni economiche, giacché la povertà sino alla soglia della sopravvivenza non riguarda più solo il singolo ma intere nazioni, specie del continente africano verso il quale l'occidente ha avuto ed ha gravi responsabilità di sfruttamento; sia da motivazioni politiche grazie a regimi autoritari e alle guerre intestine alla cui trama non è estraneo, ancora una volta, l'opulente occidente. Inoltre, piaccia o no, l'attuale fenomeno migratorio è non solo inarrestabile, ma anche tendente ad aumentare in frequenza e numeri. Ciò detto, il non emigrare attiene non ad un diritto in senso giuridico, ma a quel complesso di azioni politiche e istituti giuridici che lo Stato, ogni Stato, ha l'obbligato dovere di porre in atto per assicurare la protezione, la sicurezza e lo sviluppo integrale delle persone giurisdizionalmente amministrate. Dunque, è fuorviante invocare altro diritto, giacché quello esistente ad emigrare attiene ai diritti universali dell'uomo e fa salva la sua libertà; ma, piuttosto è bene porre l'uomo al centro di ogni proclama anche religioso, come già fanno i missionari sul campo al prezzo in molti casi della propria vita, mentre cercano di mantenere unite le comunità nell'ambito delle quali operano.

Inevitabile, ma al solo scopo di chiarire il senso di questo breve lavoro, fare riferimento alla parabola evangelica del buon samaritano. Anzi, dato per scontata la sua popolare conoscenza è sufficiente esporre qualche riflessione in merito. L'uomo derubato e tramortito abbandonato in strada, è del tutto sconosciuto, né il samaritano si preoccupa di indagare sulla sua identità. Lui si fa prossimo, punto. Nel silenzio. Senza alcuna aspettativa. Lo soccorre e nella sua azione coinvolge l'albergatore a cui lo affida ricompensandolo per il suo lavoro, anzi si impegna a rifondere eventuali maggiori spese al suo ritorno. Chiaro: da una parte c'è un uomo del tutto inerme, dall'altra chi senza alcun pregiudizio lo soccorre e lo salva. Fra i due non si stabilisce alcuna relazione interpersonale. Non c'è alcuna predica, non c'è alcuna pre-affermazione di alcuna fede, solo il modello di un'azione, un esempio. Altri, ben più autorevoli di chi scrive, hanno definito la fede cristiana "imitazione" degli insegnamenti gesuani. Dunque, sarebbe bello prendere atto che non esistono pur capaci professionisti della parola religiosa, che magari invade campi non di pertinenza dove l'ambiguità può prestarsi a qualche non richiesta sponsorizzazione, ma esistono testimoni che con discernimento operano senza alcun timore reverenziale verso le istituzioni pubbliche e loro rappresentanti, per semplicemente salvare l'uomo per il quale la scelta di fede non può essere il primo passo, ma un'acquisizione lungo il proprio cammino.

Le precisazioni e le prese di distanza del Vescovo triestino sono apprezzate, ma avrebbero avuto ben altro significato se fossero state sorrette da un elenco delle concrete azioni messe in atto nella sua diocesi a proposito dell'invito di Papa Francesco, di non molto tempo fa, ad accogliere i migranti nelle parrocchie, ciò a parte delle attività della Caritas, delle ong territoriali e dei locali volontari. Questa iniziativa avrebbe anche significato una risposta discreta al recente gesto del Vicesindaco del capoluogo giuliano, che senza indugio ha tolto ad un clochard le misere coperture che lo riparavano dal freddo.

 

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