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Chiudere il cerchio è il titolo di quattro libri, ognuno dei quali ha un sottotitolo che ne specifica meglio il contenuto ed è Dall'inizio del Novecento al Secondo conflitto mondiale per il primo volume, Il Secondo conflitto mondiale per il secondo, L'immediato dopoguerra per il terzo e Il lungo dopoguerra per il quarto. Anziché Chiudere il cerchio il titolo della collana sarebbe anche potuto essere qualcosa come Storia del XX secolo sul Confine Orientale d'Italia, perché tale è, ma narrata attraverso alle testimonianze delle persone abitanti in Venezia Giulia e Dalmazia che l'hanno vissuta dall'inizio del Novecento al secondo conflitto mondiale e al suo dopoguerra.

I volumi, che raccolgono 309 testimonianze raccolte da 162 autori, hanno richiesto anni per la ricerca e la sua pubblicazione, che è andata dal 2008 al 2016.

Essi sono stati presentati per la prima volta a Trieste mercoledì 3 maggio 2017 nella sede dell'Associazione delle Comunità Istriane, e per sua cura, dallo storico Diego Redivo(1) e da Guido Rumici, che ha curato l'opera assieme ad Olinto Mileta Mattiuz, dialogando con Carmen Palazzolo e lo scelto pubblico presente. “Ma - precisa Rumici - non tutte le testimonianze che abbiamo raccolto hanno potuto essere pubblicate, sia per ragioni di spazio sia perché alcune persone, pur raccontandoci le loro vicende, ci hanno espressamente chiesto di non pubblicarle”. Ed emerge subito il fatto, in seguito confermato da più d'uno del pubblico presente in sala, che anche nella Slovenia e Croazia democratiche di oggi alcune persone hanno paura di esprimersi liberamente e, se lo fanno, si guardano intorno prima di farlo.

Dopo averli presentati, Carmen Palazzolo dà la parola a Diego Redivo (2) per l'indispensabile inquadramento storico, che nei primi tre volumi è stato fatto dal prof. Raoul Pupo, integrato da note in corso d'opera dei due curatori; nel quarto volume è invece lo stesso Guido Rumici (1) a farlo.

“Lo scopo dichiarato dei quattro volumi – come afferma Olinto Mileta Mattiuz - è consegnare ai posteri il bastone del testimone di un mondo che è stato strappato violentemente, della vita amara dei protagonisti sparsi per il mondo o rimasti, ben presto stranieri in casa loro”. Sono parole che rimandano all'esodo giuliano-dalmata del secondo dopoguerra del quale, dopo la legge del Giorno del Ricordo, finalmente si parla apertamente e diffusamente in tutta Italia. “Ma – afferma il prof. Redivo nella sua introduzione storica a tutto tondo, che va dal passato al presente con collegamenti anche ad altre disciplina come la letteratura, il cinema e lo sport – gli istriani hanno millenni di storia, che non possono ridursi al solo esodo”. La loro storia ha origini lontane e non si può comprenderla appieno senza conoscere gli eventi che l'hanno preceduta. Questa è una delle ragioni per cui la raccolta di testimonianze comincia dall'inizio del Novecento; l'altra ragione è costitutita dal fatto che le persone ancora viventi e che potessero ricordare quel periodo di tempo erano ormai poche e si stavano estinguendo; per fortuna lasciavano qualche diario.

Ad esempio, nel primo volume si parla dei campi d'internamento di Wagna durante la prima guerra mondiale; della giovane nazione italiana contro l'impero austro-ungarico ma questi campi non sono nati a quell'epoca ma nell'Ottocento, quando gli americani sbarcarono a Cuba, allora retta dagli spagnoli e sono stati sempre usati come un mezzo per isolare la parte di popolazione ritenuta potenzialmente pericolosa impedendole di comunicare col nemico. Così gli italiani furono isolati dagli austriaci a Wagna per impedire loro di comunicare con i connazionali come gli italiani confinarono gli sloveni Gonars. Ma in questo volume si parla anche di credenze popolari come quella che la comparsa di una cometa porti disgrazia, della moda e di come si viveva a quell'epoca, del ventennio fascista e della comparsa nel territorio degli impiegati “regnicoli” con abitudini diverse da quelle dei funzionari austro-ungarici a cui la popolazione era abituata. E poi delle leggi razziali viste dal punto di vista dell'alunna che perde le compagne ebree; della tragedia mineraria di Arsia e d'altro ancora.

Il contenuto del secondo volume riguarda invece i vissuti della gente durante il secondo conflitto mondiale, dalla sua proclamazione a Fiume all'invasione della Jugoslavia, alla vita di una guardia della frontiera orientale d'Italia soggetta agli assalti dei partigiani; narra dell'oscuramento, dei bombardamenti, delle tessere e delle file per gli acquisti; di come, dopo come un conflitto a cui il paese non era preparato e che portò all'inevitabile sconfitta, la cui presa di coscienza, alla proclamazione dell'armistizio dell'8 settembre 1943, è evidenziata dalla testimonianza di due persone completamente diverse, un militare e una ragazza di Albona, che descrivono, da due punti di vista diversi, la stessa realtà. Quella dei superiori militari che non ricevettero più ordini e alcuni restarono per qualche tempo al loro posto ma poi anch'essi, recuperati abiti civili, se ne andarono e le truppe furono allo sbando e alla disperata fuga verso casa mentre i magazzini militari venivano svaligiati delle armi dai partigiani e dei viveri e arredi di ogni genere dai civili, proprio come nel film “Tutti a casa “ di Alberto Sordi. E poi giunsero i tedeschi, che posero i giovani del tempo di fronte alla scelta di unirsi a loro in armi o ai lavori civili o essere tradotti prigionieri in Germania o diventare partigiani; e infine, e in alcune parti del territorio considerato contemporaneamente, arrivò l'occupazione jugoslava, le persecuzioni, le foibe...l'esodo

Il terzo volume contiene le testimonainze sulla prima occupazione jugoslava e i suoi orrori, sull'esodo degli italiani in Italia e nel mondo, sui campi profughi, come nella “Contemplazione del disordine” in cui Silvio Benco fa un bilancio delle trasformazioni storico-psicologiche dell'Europa nel Novecento, come un'esplosione universale in un mondo in cambiamento. Ma a fianco delle difficoltà di adattamento dei profughi ci sono, come una sorta di rivincita, le glorie sportive degli esuli che portano il nome dell'Istria e dell'Italia nel mondo come quelle del pugile Nino Benvenuti, del marciatore Abdon Pamic, del ciclista Ercole Baldini alle Olimpiade di Melbourne del 1956. E non si trovava l'inno d'Italia, che si levò dagli spalti. Ma anche i rimasti hanno il loro campione in Giovanni Cernogovac, medaglia d'oro alle Olimpiade 2012. E non sono tutti gli episodi citati.

Poi nelle terre abbandonate dagli esuli arrivano altre genti, che non hanno niente a che fare con questo territorio, che sono portatrici di un'altra civiltà, che balla il “kolo”, che diviene una sorta di simbolo di quest'altra civiltà, che prende possesso del territorio. Ma arrivano anche persone da tutta Italia e un folto gruppo di monfalconesi, mentre altri ancora decidono di rimanere.

Il quarto volume e ultimo della serie raccoglie le testimonianze inerenti il lungo dopoguerra della seconda guerra mondiale. Vi si parla quindi dell'esilio in Italia e nel mondo, della vita in diversi Campi Profughi e perfino di quella a Goli Otok; del ritorno di Trieste all'Italia e quindi della fine della speranza della stessa sorte della Zona B, ma anche del travaglio di chi rimase nella nuova Jugoslavia. Il volume si conclude con la narrazione dei vissuti del ritorno di molti esuli nel paese natio. In particolare molte testimonianze di questo volume riguardano le vicende accadute dopo la rottura del 1948 fra Stalin e Tito a causa della quale molti comunisti italiani favorevoli a Stalin dovettero esulare; altri andarono via per fare le spie.

“Fu un fenomeno rilevante a causa del quale molti esuli erano controllati – come ricorda Rumici –. Sono fatti di cui non si potè a lungo parlare e che oggi possono essere finalmente raccontati.

Guido Rumici dichiara di essere rimasto colpito soprattutto dall'aspetto umano, emotivo, delle vicende che ha raccolto come quella del bambino, che nel 1956 aveva tirato fuori da una foiba un teschio e l'aveva portato a scuola. La bidella si spaventò e il teschio sparì, ma si sa che in quegli anni a Buie vennero fatte delle esumazioni. C'è poi, da non dimenticare, anche la storia dei rimasti; anch'essi hanno sofferto; il loro è stato una sorta di smarrimento perché con le partenze di parenti, amici, vicini di casa si sono visti il vuoto intorno. A Rovigno un bambino rimase l'unico bambino di un condominio che s'era completamente svuotato per cui egli non aveva nessun coetaneo con cui giocare.

Mentre i relatori dialogano fra loro e col pubblico sullo schermo gigante alle loro spalle si susseguono immagini significative inerenti i fatti trattati, portate da Rumici, che ne illustra alcune.

Segue un vivace dibattito col pubblico presente, costituito prevalentemente da insegnanti, e che si concentra dunque sull'insegnamento della storia del confine orientale nelle scuole. Essi esprimono l'esigenza di accostare alla storia gli studenti in maniera più “umana” e in quest'approccio possono essere indubbiamente utili i vissuti della gente. “D'altronde – conclude Guido Rumici – tutti i volumi hanno una premessa storica, un'appendice cronologica, tabelle, piantine e dati, anche i numeri sono infatti necessari come punti fissi per capire meglio la storia”.


Recensione di Carmen Palazzolo

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