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dei liberi pensatori

di Anna Piccioni

 Scrissi le riflessioni che seguono vent'anni fa, ma le cose non sono cambiate.

“Sarebbe bello poter definire la parola “civiltà” con semplicità e precisione, come si definisce una retta, un triangolo, un corpo chimico…Purtroppo, il vocabolario delle scienze umane non consente di formulare definizioni valide una volta per tutte. Anche se non tutto è incerto o in divenire, la maggior parte di questi termini, ben lungi dal potersi fissare definitivamente, non cessa di variare da un autore all’altro e di subire sotto i nostri occhi una continua evoluzione”[1].

Quante altre parole potremmo considerare difficili da definire “una volta per tutte” ?

L’epoca che viviamo della cosiddetta globalizzazione dovrebbe o inventare un nuovo linguaggio oppure, usando quello esistente, stabilire definitivamente i significati, altrimenti: tutto alla portata di tutti, ma a uso e consumo di pochi, singoli.

Chiusi ognuno nella propria individualità,  ma con un occhio al mondo catturiamo il possibile, ma non elaboriamo nulla per dare il nostro contributo alla crescita della, chiamiamola “civiltà”.

Io penso sia fondamentale stabilire le regole del gioco  prima di iniziare la partita e la partita che il mondo occidentale sta giocando, per il momento non ha stabilito alcuna regola. E’ una partita con pochi giocatori, per lo più ricchi, industrializzati, tecnologicamente e biotecnologicamente proiettati verso il futuro: le pedine del gioco sono i paesi del terzo mondo, pardon, in via di sviluppo, ovvero di industrializzazione. Ovviamente industrializzazione significa un passaggio obbligato per vincere il problema della fame, della mortalità infantile, delle guerre, buttate qua e là.

Quante belle parole! Facili a dirsi, da effetto speciale. Eppure due terzi del mondo, è fuori gioco.

In due terzi del mondo non c’è rispetto per la persona: bambino, bambina, donna, uomo, vecchia o vecchio.

Dalla mancanza di rispetto nasce lo sfruttamento dei bambini; la prostituzione infantile; l’analfabetismo; gli odi razziali… ma i “grandi” della terra discutono… mantengono strutture e organismi che sono nati per risolvere questi problemi, spendendo miliardi.

Allora dove s’intoppa il gioco della globalizzazione? Non sono state stabilite prima le regole: prima di tutto bisogna sapere se si vuol far partecipare il mondo intero al processo della globalizzazione; si passa alla seconda regola se la prima è totalmente affrontata: si vuol veramente risolvere una volta per tutte i grandi problemi dell’umanità?

Ora ci si chiederà cosa c'entra la citazione iniziale di Broudel con quello che è seguito? Semplicemente in qualche modo voglio tornare al concetto di civiltà, mi sto chiedendo se in questo quadro della realtà attuale sommariamente  delineata possiamo dire se la globalizzazione dà un contributo in più alla civiltà del 2000 oppure no. Potremmo discuterne, ma prima vorrei aggiungere ancora una citazione che mi piace molto perché definisce la regola fondamentale: “Le parole sono strumenti che ognuno di noi è libero di adoperare per l’uso che preferisce, a condizione di spiegare le proprie intenzioni.”

Poiché viviamo nel mondo dell’immagine, credo che il sociologo sopra citato non si offenda, se provo a cambiare il soggetto della sua citazione: “Le immagini sono strumenti che ognuno di noi è libero di adoperare per l’uso che preferisce, a condizione di spiegare le proprie intenzioni”. Sia per un soggetto che per l’altro la citazione si adatta a pennello, l’unica cosa che sfugge a chi fa uso di parole e di immagini è di anticipare “le  proprie intenzioni”.

Questa riflessione mi è passata per la testa guardando alla televisione un programma della terza rete in seconda serata, credo faccia parte di una serie di trasmissioni dal titolo “C’era una volta”. Il servizio che ho seguito martedì sera è intitolato “La prossima vita” un reportage condotto da giornalisti conosciuti come Cuffaro e Venditti che hanno fatto conoscere al mondo una realtà raccapricciante di un’infanzia violata, di una dignità umana inesistente, di una situazione sociale indefinibile. Quello che mi ha sconvolto è l’atteggiamento rassegnato, di accettazione passiva di una vita che è peggio di un animale. Padri e madri che vendono figli a bordelli o a turisti di passaggio, per lo più europei; esseri umani che vivono per strada su una stuoia che ogni sera stendono per dormire; villaggi dove si arriva attraverso percorsi di guerra che definire strade è più che una esagerazione. Il filmato è girato in Cambogia, ma può essere qualsiasi paese sud orientale. Ora è ovvio che questo chiamiamolo sdegno avrà preso qualsiasi telespettatore: probabilmente queste sono le intenzioni del programma, ma noi giudichiamo con la nostra mentalità di occidentale cattolici e “di sani principi” e portatori della “civiltà” e della “morale”. Guardando quei bambini che dicevano di avere dodici anni, ma erano alti un cacio, e da quattro o cinque anni per pochi dollari fanno sesso con gli stranieri, alcuni addirittura vantandosi di quanto sono bravi, ascoltando la madre che era ben contenta di poter racimolare un po’ di riso per sfamare la famiglia coi soldi “guadagnati” dal bambino che si prostituisce, sentendo che la scuola è una perdita di tempo perché non si guadagna, Vedendo il poliziotto che è pronto a vendere per 10 dollari il suo distintivo come souvenir, mi sono chiesta come si può provare indignazione: quella è la loro realtà, la loro vita considerata un passaggio un momento di tanti altri momenti di varie incarnazioni. Fino a che punto è giusto sdegnarsi: tutto il mio sdegno e disprezzo va rivolto a quei turisti civili e occidentali, che cercano e approfittano di questa situazione di miseria e di rischio. 

 

[1]          Fernand Braudel “Il mondo attuale” vol. I ,ed. Piccola biblioteca Feltrinelli, 1965

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