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dei liberi pensatori

di Anna Piccioni

In una vecchia biblioteca tra libri buttati, odore di carta macerata, mangiata dai topi, mi sono appropriata di alcuni romanzi di scrittori dell'altro secolo per aumentare le mie librerie piccole e grandi sparse in ogni angolo della casa, che già scoppiano. Tra questi un romanzo dalle pagine ingiallite di Piero Chiara: Vedrò Singapore? Della collana Narrativa Club del 1981.
Mi è sempre piaciuto Piero Chiara per la sua capacità di raccontare quel piccolo mondo provinciale che ruota attorno al lago Maggiore e Luino in particolare, sua città natale. Oggi pochi ricordano Piero Chiara, perciò rinfreschiamo la memoria. Piero Chiara (all'anagrafe Pierino Chiara) nasce a Luino (Varese) sulle rive del Lago Maggiore, il giorno 23 marzo 1913. A Luino il padre Eugenio Chiara, originario di Resuttano (in provincia di Caltanissetta) lavorava come doganiere; la madre Virginia Maffei, proveniva da Comnago, paese sulla sponda piemontese del Lago Maggiore.

Coetaneo ed amico di Vittorio Sereni, anch'egli futuro scrittore e poeta, Piero Chiara studia senza troppa diligenza o costanza: frequenta diversi collegi religiosi e solo nel 1929 ottiene un diploma di licenza complementare. Di fatto Piero Chiara completerà la propria formazione culturale come autodidatta. Dopo aver trascorso un periodo di viaggi tra Italia e Francia, nel 1932, anche per accontentare le aspirazioni dei genitori, trova un impiego in magistratura come aiutante di cancelleria. Nel 1936 sposa Jula Scherb, donna svizzero-tedesca da cui ha anche un figlio, Marco. Il matrimonio però finisce dopo poco tempo. Dopo la breve chiamata alle armi, nonostante il suo disinteressamento alla politica, nel 1944 è costretto a fuggire in Svizzera in seguito ad un ordine di cattura emesso dal Tribunale Speciale Fascista. Qui Piero Chiara vive in alcuni campi dove venivano internati i rifugiati italiani. Terminato il conflitto mondiale, lavora come insegnante di lettere presso il liceo italiano dello Zugerberg. L'anno seguente torna in Italia. Piero Chiara inizia un periodo di fervida inventiva e creatività letteraria, dove scrive intensi racconti, degni del miglior Giovannino Guareschi, narratore della bassa padana, o del più celebrato e stravagante Italo Calvino. Nella sua produzione il lago Maggiore fa spesso da palcoscenico ai suoi brevi ed illuminanti racconti. Chiara narra le cose semplici della vita di provincia con uno stile sempre ricco, arguto e ironico Chiara dipinge i tratti della vita dell'alta Lombardia e dei cantoni svizzeri: una vita di frontiera, fatta di contrabbandieri, briganti e fuggiaschi. Nei suoi libri è importante la descrizione dei luoghi ma soprattutto l'indagine psicologica dei personaggi, la capacità di metterne in evidenza vizi e virtù con un sorriso ironico, spregiudicato ma mai irrispettoso. Il segreto di Chiara è nella sua capacità di raccontare, nella scelta di argomenti anche "scabrosi" (il gioco d'azzardo, l'omicidio, l'adulterio, l'ossessione erotica). Nel 1970 collabora alla sceneggiatura e recita in "Venga a prendere il caffè da noi", un film diretto da Alberto Lattuada e interpretato da Ugo Tognazzi, tratto dal suo stesso romanzo "La spartizione" (1964). Il successo narrativo conosce il suo apice nel 1976 con il capolavoro "La stanza del vescovo", che diventerà immediatamente un film di grande successo diretto da Dino Risi e interpretato anch'esso da Ugo Tognazzi, insieme a Ornella Muti. Dopo aver ricoperto numerosi incarichi politici nel Partito Liberale Italiano, Piero Chiara muore a Varese il 31 dicembre 1986, poco dopo aver corretto le bozze del suo ultimo romanzo, "Saluti notturni dal Passo della Cisa", che viene pubblicato nel 1987.
Dal 1989 il comune di Varese ha istituito e dedicato a lui il Premio letterario Piero Chiara.

Oltre che uno scrittore di grande successo, Chiara è ricordato come uno dei più noti studiosi della vita e delle opere dello scrittore e avventuriero Giacomo Casanova. I numerosi suoi scritti su Casanova sono raccolti poi nel libro "Il vero Casanova" (1977); sua è la prima edizione integrale di "Histoire de ma vie", l'opera autobiografica del Casanova basata sul manoscritto originale; infine sua è la sceneggiatura dell'edizione televisiva dell'opera di Arthur Schnitzler "Il ritorno di Casanova" (1980).

La storia narrata in Vedrò Singapore? si sposta dal lago Maggiore alle nostre parti, tra Gorizia, Aidussina, Cividale, Trieste ed è ambientata nel 1932. Il personaggio principale e io narrante è un giovane mandato da queste parti come sostituto apprendista cancelliere, una infima categoria dell'amministrazione giudiziaria.
Il protagonista ricorda molto l'inetto sveviano, ma senza nevrosi o malattie immaginarie. Si lascia facilmente prendere dall' ”andazzo” che regna in quella amministrazione periferica, dove ognuno fa il proprio comodo, tranne poi a mettersi sull'attenti quando arriva l'Alto Commissario per la Giustizia, Mordace.

Questi sembra avercela in modo particolare col giovane apprendista, che paga anche per gli altri. D'altronde il giovane ha molte debolezze: il gioco e le donne. Addirittura sembra privo di etica; tranne quando si dà da fare per evitare che la sua amata irraggiungibile illibata Ilde, cassiera del Caffé dei Longobardi a Cividale, entri a ventun anni in una casa di piacere a Trieste. E proprio questo suo darsi da fare per strapparla a quella vita lo porterà a trascurare ancora di più il suo lavoro tanto da essere di nuovo convocato dall'Alto Commissario per la Giustizia per punirlo con un altro trasferimento. Per questo motivo il protagonista si chiede se vedrà Singapore.
La scrittura di Chiara è leggera, tocca i personaggi e i loro pensieri e comportamenti, ma senza mai giudicare, e anche le situazioni più strane e assurde sono narrate con la leggerezza dell'ironia.

I romanzi di Piero Chiara danno sempre l'impressione di avere di fronte l'autore che ti fa l'occhiolino, come a voler dire di non prenderci troppo sul serio.

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