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Bobi Bazlen come cartina di tornasole per un intreccio vario, molteplice, multiforme di relazioni sociali mutuate attraverso la letteratura, l’arte, l’intelligenza critica e creativa: questo è il Bazlen che ci propone Cristina Battocletti, in un’analisi documentata della figura dell’intellettuale triestino.

Il ventaglio delle frequentazioni di Bazlen, delle amicizie, delle conoscenze con i maggiori protagonisti del mondo culturale italiano e triestino del Novecento è veramente eccezionale. Del resto a lui interessavano uomini e donne fuori dai metri comuni più generalizzati, persone che avessero un carattere forte e protagonista e qualche cosa di nuovo da dire o da fare.

L’incontro con l’altro, con gli altri, in Bazlen si concretizza non solo attraverso rapporti reali, ma anche attraverso la lettura e la scoperta di trouvailles inedite e/o ancora sconosciute soprattutto nel panorama letterario italiano: il suo ruolo fondamentale è quello di consulente editoriale per Einaudi e di fondatore, assieme a Luciano Foà, della casa editrice Adelphi, ben nota per lo stimolo intellettuale che riversa sui lettori italiani, introducendoli alla conoscenza dei maggiori scrittori mitteleuropei, da Franz Kafka a Robert Musil.

Dunque Bazlen, fin dagli anni giovanili, è aperto a tutte le novità che si stavano formando, coagulando, crescendo nell’Europa centro orientale, ampia area territoriale concomitante alla collocazione e alla funzione geopolitica di Trieste: fortemente sensibile al richiamo di nuovi saperi e coinvolto nel fiorire di importanti fermenti culturali, assolutamente rivoluzionari, che vanno dall’arte, pittura, scultura, architettura, grafica, alla fotografia, alla musica, alla letteratura, fino alla psicoanalisi. Sono tutti segni macroscopici e stimoli innovativi che partono soprattutto da quel crogiolo di intelligenze creative e umane, sociali, etniche, innestate o confluenti a Vienna, negli anni a cavallo tra Ottocento e Novecento e nei primi decenni del Novecento. Ma anche a Trieste, ricco porto dell’Austria Ungheria.

Qui nasce nel 1902, unico figlio, amato in modo esclusivo ed ossessivo, di Clotilde Levi Minzi, appartenente alla Comunità ebraica triestina, e del commerciante di Stoccarda Georg Eugen, di religione protestante augustana.

A Trieste Bazlen vive fino al raggiungimento dell’età matura, 32 anni; da qui si allontana, senza farvi più ritorno per il resto della sua vita, che si svolge poi soprattutto tra Roma e Milano. Ma l’ombra di Trieste, come sottotitola il bel libro di Cristina Battocletti, incombe su tutta la vita e le relazioni intellettuali di Bazlen, a partire dai rapporti con Saba, con Svevo, per passare ai più giovani Quarantotti Gambini, Mattioni …

L’Autrice sonda la leggenda, il mito un po’ oscuro, che nasce e si avviluppa intorno a Bobi Bazlen, descrivendolo nelle azioni e nelle contraddizioni che lui segna come intellettuale e soprattutto come uomo; parla della sua personalità complessa, che suscita reazioni ambivalenti di amore e di odio negli uomini e nelle donne che lui avvicina e coinvolge nei suoi progetti; parla della sua ombra che trasluce dal non apparire mai in prima persona come autore consacrato, eppure artefice della “fortuna” di tanti altri scrittori, eletti con un fiuto inoppugnabile, con una sicurezza incontrovertibile, quali protagonisti del Novecento …

Ne nasce una storia che si legge come un romanzo, nonostante l’ampia citazione di persone intervistate, di documenti e di carteggi inediti, di libri, saggi, articoli, profusi nella parte conclusiva del libro.

La scrittura fiorita, giovane, disinvolta, a tratti giornalistica, quasi a creare degli scoop editoriali, invita appunto a confrontarsi con questa storia così ricca di personaggi, noti e meno noti, ma sempre affascinanti: se Bazlen ne è il protagonista, il giocoliere, l’attivatore di ruoli ed intrecci accattivanti, Trieste sta sullo sfondo, come luogo dell’anima, come città di carta.

 

Cristina Battocletti, Bobi Bazlen. L’ombra di Trieste, Collana “Oceani”, La nave di Teseo Editore, Milano 2017, pp. 392, euro 19,50.


 recensione di Silva Bon

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