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dei liberi pensatori

di Carmen Palazzolo

È l’agosto del 2020 e sono a Puntacroce, il villaggio dell’isola di Cherso nel quale sono nata e da cui  sono partita con mia madre e mia sorella nel 1947 per andare esule in Italia. Da allora, a partire dal 1967, sono ritornata qui molte volte ma non con continuità. Questa volta soggiornerò in un appartamentino di una nuova grande casa, appena costruita all’inizio del paese sulla strada proveniente da Ossero. Oltre che essere nuovissimo e splendente di pulizia, quest’alloggio è dotato di ogni moderna comodità dai fornelli con piani di cottura in vetroceramica all’aria condizionata e ad internet.

Una bella differenza dal tempo della mia infanzia quando si cucinava ancora col fuoco a legna sul fogoler, ci si lavava, si cucinava e anche si beveva l’acqua delle cisterne in cui veniva convogliata tramite grondaie l’acqua piovana che cadeva sui tetti. E d’inverno si pativa il freddo e d’estate il caldo non temperati dalle apparecchiature odierne. Sempre uguale è il percorso da Ossero a Cherso ma la strada è asfaltata e non più un sentiero di terra costellato da sassi di ogni dimensione. L’asfaltatura non lo rende però agevole perché rimane troppo stretto quasi ovunque per consentire il passaggio contemporaneo di due automobili procedenti in senso contrario costringendo uno dei due conducenti a retrocedere o fermarsi nelle piazzole, abbastanza numerose, scavate nel tempo sulle rocce laterali o allargate nei campi laterali. Nonostante la strada disagevole il transito estivo di automezzi, diretti al paese e soprattutto ai campeggi che sorgono all’estremità dell’isola, è numeroso per cui si potrebbe anche provvedere a un allargamento adeguato di questa strada.

 

A fianco della casa in cui abito c’è la casina della mia amica Norma e del mio cugino Romano Lazzarich, entrambi deceduti, ed ora abitata d’estate da uno dei loro due figli con la moglie, la loro figlia, la nipotina di quattro anni e il nipotino di pochi mesi. L’abitazione, che conoscevo bene, è stata completamente ristrutturata all’interno per adeguarla alle esigenze del nuovo nucleo; solo l’esterno è rimasto invariato. Molta strada hanno fatto anche i due figli di mio cugino e le loro due figlie. Lui, il suddetto Romano, era stato uno dei primi ragazzi che studiarono a Puntacroce per interessamento e sotto la guida del giovane parroco del tempo, il mai dimenticato don Martino Rucconi di Ustrine, che aveva convinto i genitori di alcuni ragazzi intelligenti a far loro proseguire gli studi dopo la scuola elementare e li aveva preparati all’esame della quarta media; allora di quattro e non di tre anni. Questo consentì a mio cugino, uno dei “rimasti”, a raggiungere una buona posizione lavorativa dopo l’occupazione jugoslava, a causa della quale la maggioranza della classe colta se n’era andata in Italia. I figli di Norma e Romano si diedero entrambi alla navigazione raggiungendo il maggiore, quello della  casa di Puntacroce, il grado di comandate di grandi navi mentre non so quale era il livello del secondo. Invece entrambe le loro figlie sono medici specializzate in anestesiologia.

Non sono che alcuni esempi per dire come cambia l’ambiente e progrediscono le persone.

Non è cambiato l’aspetto esterno della mia vecchia scuola elementare, tutta in pietra bianca ma non so a che cosa è adibita ora perché non ho avuto il modo di informarmi nei pochi giorni che sono rimasta sul posto e dubito che conservi la sua vecchia funzione dal momento che gli attuali residenti stabili mi sembra che siano appena una ventina di persone.

Invariata esternamente è pure la casa della famiglia Badurina, ora residenza estiva di una delle discendenti, figlia di una cugina, che la cura con amore anche attraverso alla competente opera del marito impresario edile e dei suoi collaboratori. All’interno tutto è cambiato, e più volte, a seconda delle esigenze delle generazioni familiari che l’hanno abitata nel tempo. Io ricordo ancora quando in essa c’era la macelleria del paese, che vendeva anche la mortadella, che mi piaceva tanto e l’osteria con sala da ballo, dove si ballava ogni domenica anche durante la guerra e, se i cavalieri mancavano, le donne ballavano fra loro. Vado a trovare i parenti che ci abitano e porto loro il libretto sugli antichi usi di Puntacroce. Loro promettono di spedirmi i numeri che mi mancano della bellissima rivista “Puntarski Fuoj”, che pubblicano quando hanno i fondi per farlo, che mi piace molto anche se non capisco il croato ma le belle immagini che corredano gli scritti e il mio sforzo interpretativo mi aiutano a comprendere che vi si parla delle feste popolari, delle spedizioni autunnali di caccia, necessarie anche per contenere il sovrappopolamento dei daini e dei cinghiali, dei ritrovamenti archeologici nella zona, del recupero da parte degli stessi paesani dell’antica cappella di Sant’Antonio di Parhavaz, delle piante del posto.

Ed è rimasta uguale e curata come sempre anche la vecchia casa della famiglia Bernabich, dove Mario, ormai ottantenne, trascorre da tempo quasi tutto l’anno assieme alla moglie, allietato dalle frequenti visite dei figli residenti a Trieste. Sempre uguale e affollatissimo anche in questo periodo di rischio d’infezione da covid-19 il ristorante di Pogana, da dove si prendeva la barca a motore per andare a Lussinpiccolo. Ci andiamo a bere qualcosa e poi finiamo col prendere anche del pesce. È troppo piacevole, più che il mangiare, lo starsene con l’acqua proprio a portata di mano mentre il sole si abbassa all’orizzonte.

Il mio breve soggiorno si conclude purtroppo con la preoccupazione per l’infezione da covid-19, in aumento in Croazia, che ha indotto il governatore del Friuli Venezia Giulia ad imporre a chi rientra in regione dalla Croazia a sottoporsi all’esame del tampone. Mio figlio e l’amica che mi hanno accompagnato in questo viaggio, ancora in attività lavorativa rispettivamente a Trieste e a Tomezzo (UD) si sono subito attivati per fissare un appuntamento per il suddetto esame. A Trieste non sono neppure riusciti ad avere un contatto telefonico, tale era il numero delle persone che stavano rientrando in città, si sono allora rivolti altrove trovando infine un posto a S. Vito al Tagliamento (PN), dove ci siamo recati il giorno dopo il ritorno ed abbiamo avuto la risposta due giorni dopo: nessun contagiato per fortuna!

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