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dei liberi pensatori

di Carmen Palazzolo

Non è successo in un paese arabo a religione mussulmana, ma a Pordenone, alla pallavolista Lara Lugli. La cosa sta suscitando grande scalpore perché Lara non intende subire in silenzio come hanno già fatto tante altre donne, perché sembra sia una prassi comune, e non solo nello sport, che le donne, al momento dell’assunzione, concordino col datore di lavoro o addirittura firmino una clausola di contratto in cui dichiarano di non avere intenzione di avere figli e di licenziarsi qualora accadesse loro di rimanere incinta.

L’aspetto pubblico della vicenda di Lara è cominciato – come lei stessa dichiara - quando pubblicò sui social la denuncia per danni fattale dalla società sportiva Wolley di Pordenone per la quale giocava per aver taciuto l'intenzione di avere figli al momento dell'ingaggio. Pensava che la notizia sarebbe rimasta circoscritta all’ambiente pallavolistico. Ma non fu così.

“Ormai se ne parla da mesi –dice Lara Lugli - e ha sensibilizzato l'opinione pubblica su qualcosa con cui le sportive hanno convissuto per decenni...

La questione ha preso anzi una piega inaspettata ma mi fa piacere, perché non si tratta solo del mio caso ma di quello di tante altre donne a cui è successa la stessa cosa. Parlano di grave inadempimento contrattuale, che ha creato gravi danni alla società sia sportivi che economici, paragonando la gravidanza a un comportamento illecito e dannoso, quasi fossi drogata o alcolizzata. Spero che il mio caso serva anche alle altre atlete per tutelare i loro diritti: lo sport, purtroppo, anche se ha la sua valenza formativa e valoriate, è l'unico ambito in cui l'interesse dei datori di lavoro prevale su tutto il resto".

Il 18 maggio avverrà l’udienza nel Tribunale di Pordenone e vedremo cosa accadrà. 

Nel frattempo l'Associazione Nazionale Atlete (Assist) ha comunicato l'intenzione di scrivere al presidente del Consiglio Mario Draghi e al presidente del Coni Giovanni Malagò per chiedere di intervenire: "Questo caso è emblematico perché l'iniquità della condizione femminile nel lavoro sportivo è talmente interiorizzata che, non solo la si ritiene disciplinabile, nero su bianco, in clausole di un contratto visibilmente nulle, ma addirittura coercibile in un giudizio, sottoponendola a un magistrato, che secondo la visione del datore di lavoro sportivo, dovrebbe condividere tale iniquità come fosse cosa ovvia. In questa spregiudicata iniziativa - evidenzia Assist - si annida il vero scandalo culturale del nostro Paese, che è giunto al punto da obnubilare la coscienza dei datori di lavoro sportivi, fino a dimenticare cosa siano i diritti fondamentali delle persone". 

le "European Women For Human Rights" si sono subito unite all’Assist nella contesa che sta portando avanti a partire dal caso dell'atleta Lara Lugli - la pallavolista licenziata senza aver neppure ricevuto l'ultima mensilità maturata - che ritengono una “battaglia di civiltà” per il rispetto e la dignità delle donne atlete, anche e soprattutto in gravidanza. 

"Noi European Women For Human Right - si legge in una lettera rivolta al premier Draghi, alla sottosegretaria allo Sport Valentina Vezzali e ai ministri di Giustizia e di Pari Opportunità e Famiglia - riteniamo incostituzionale una clausola che indica lo stato di gravidanza o la maternità quale giusta causa di risoluzione di un contratto, anche di tipo sportivo". Vogliamo commentare con le parole di Aldo Moro - prosegue la lettera-appello – “Non si tratta soltanto di riconoscere i diritti naturali alla famiglia, ma di riconoscere la famiglia come società naturale, la quale abbia le sue leggi ed i suoi diritti di fronte ai quali lo Stato, nella sua attività legislativa, si deve inchinare".

Se la famiglia è elemento costitutivo della società, la gravidanza rappresenta il mezzo in base al quale si sviluppa la famiglia. Non solo: essa è anzi il moltiplicatore oggettivo della famiglia umana, che consente di dare luogo ad uno dei tre elementi costituivi dello Stato: il popolo. Ogni impedimento al libero sviluppo della facoltà riproduttiva umana - fermo restante il diritto personale quale espressione di libero arbitrio - configura quindi una lesione al principio di ordine pubblico. E come tale va cassata in ogni stato grado e luogo. Crediamo che le autorità di governo possano portare in Parlamento iniziative legislative atte a ribadire e a sanzionare la nullità di clausole che utilizzino la gravidanza quale causa risolutiva contrattuale o che contemplino la maternità quale convenzione ad escludendum". 

La replica del club: ci siamo difesi, non abbiamo chiesto i danni

"Visto il polverone sollevatosi negli ultimi giorni in merito alla vicenda che ci vede chiamati in causa dalla nostra ex atleta ci corre l'obbligo di fare alcune necessarie precisazioni. Abbiamo letto in vari media pesanti accuse di insensibilità, sessismo e discriminazione ai danni delle donne lavoratrici. Purtroppo pochi hanno pensato di chiederci quale fosse la nostra posizione in merito. Cerchiamo di riassumere i fatti. Nel campionato 2018-2019 Lara Lugli era il capitano della nostra squadra e anche la giocatrice di punta. Ad inizio marzo ci ha comunicato di essere rimasta incinta. Dispiaciuti per la perdita sportiva, ma felici per l'avvenimento familiare ci siamo salutati. Infatti come da contratto, che ricordiamo essere stato predisposto dall'atleta stessa e dal suo agente, si prevedeva l'immediata cessazione del rapporto in caso di gravidanza". E' la replica del Volley Pordenone all'Adnkronos. "Lo stesso contratto, che ribadiamo essere stato predisposto dalla stessa atleta, aveva al suo interno clausole che prevedevano addirittura delle penali in caso di cessazione del rapporto. Clausole che non abbiamo voluto esercitare perché non pareva opportuno farlo. Ora nessuno ha citato per danni Lara Lugli. E' stata la stessa atleta a chiedere e ottenere un decreto ingiuntivo perchè ritiene di avere dei crediti. Ci siamo sentiti traditi dall'atleta e abbiamo fatto l'unica cosa possibile: difenderci avvalendoci delle clausole contrattuali predisposte da lei stessa e dal suo procuratore. Vorremmo ribadire con forza che non crediamo che la gravidanza sia un danno e che soprattutto non è mai stata avanzata richiesta di danni".

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