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dei liberi pensatori

di Carmen Palazzolo

è l’interrogativo che pone e si pone Ezio Giuricin, giornalista di TV Capodistria, nella conferenza tenuta nella sede dell’Associazione delle Comunità Istriane di Trieste lunedì 25 marzo 2019. 

Va innanzitutto precisato che delle forme di ritorno esistono già, in particolare per le vacanza e in maniera più stabile dopo il pensionamento, ma il ritorno di cui parla Giuricin significa ristabilirsi nei luoghi natii per continuarvi la propria vita costruendo un nuovo rapporto con ciò che si è perduto,  riguarda in particolare i discendenti degli esuli giuliano-dalmati di seconda e terza generazione e potrebbe/può essere fisico, economico, politico, culturale.

Da tutto il discorso di Giuricin traspare – a mio avviso – la sua opinione che non solo ritornare si può ma sia in un certo doveroso. La ragione sta nel fatto che l'esodo degli italiani dall'Istria, da Fiume e dalla Dalmazia, a conclusione del secondo conflitto mondiale, provocando lo svuotamento quasi completo della popolazione autoctona da quel territorio, ha prodotto lo sradicamento e la parziale cancellazione della componente culturale latina, romanza e veneta in quest'area, “vulnus” gravissimo e irrimediabile, segno di una perdita incolmabile che ha causato la cancellazione,  si spera non radicale e completa, di un'inestimabile eredità culturale e della complessa identità plurale di queste terre. E’ stato il “ritiro- come ha rilevato lo storico Raoul Pupo - della presenza nazionale italiana da una regione che l’aveva vista attiva, come elemento originario o costitutivo, senza soluzione di continuità, dall’epoca della romanizzazione in poi.  

Dopo aver chiarito che, per le persone che hanno vissuto le sofferenze dell'esilio, le ferite sul piano umano, fisico, psicologico, non possono essere lenite, i quesiti che dobbiamo porci – dice Giuricin - sono se c'è, oggi, un modo per porre rimedio, almeno in parte, a questa catastrofe, come l’ha definita Raoul Pupo; se si possono riportare in vita i tratti di quell'eredità culturale e civile spezzati dall'inclemenza della storia. In altre parole quali sono, o potrebbero essere, oggi, i possibili livelli di intervento, o di “riparazione”, per cercare di ripristinare e ricomporre un tessuto sociale e umano irrimediabilmente sconvolto dall’esodo. E il modo per cercare di salvare la cultura e le tradizioni millenarie di quel territorio è cercare di tutelare e valorizzare meglio e più di quanto è stato fatto sinora il patrimonio identitario della componente italiana di queste regioni, e di garantire la continuità della sua presenza - fisica, civile, linguistica e culturale - nel territorio del suo insediamento storico tenendo conto di chi sono gli eredi “fisici” di questo patrimonio, che sono i figli e i nipoti degli esuli e della minoranza rimasta. Ma non basta fare o tentare di fare questo recupero solo in Italia e nel mondo bisogna farlo sul posto, cioè in Istria, Fiume e Dalmazia assieme ai cosiddetti “rimasti”. Si dovrebbe dunque dare un significato diverso al termine rimasti, che sarebbe più giusto tradurre in eredi della cultura rimasta, cioè tutti coloro che, in Istria, in Italia e nel mondo, si riconoscono in quest'eredità. Questo presuppone l'avvio di un progetto condiviso di ricomposizione fra gli esuli sparsi nel mondo e i pochi italiani ancora residenti nei territori dell’esodo. È un’operazione che va assolutamente fatta se vogliamo salvare la cultura di quel territorio perché gli uomini sono destinati a scomparire ma non può e non deve scomparire il patrimonio di identità e di valori di cui sono stati i portatori; è un patrimonio che deve essere tramandato alle giovani generazioni. 

Ma come fare quest’operazione di recupero?

Premesso che – continua Giuricin – un ripopolamento fisico non è attualmente pensabile, qui si parla di “ripopolamento“della cultura, del ripristino dell'identità culturale e linguistica del territorio, della sua multiculturalità. Nel medesimo tempo occorre realizzare che una cultura e una lingua non possono sopravvivere senza la presenza fisica di coloro che le veicolano, cioè degli uomini o si rischia la “musealizzazione”, cioè il salvataggio di un patrimonio culturale senza i suoi eredi, la morte di una cultura “vivente“.

Ne deriva il fatto che il ritorno non può essere solo culturale ma deve anche essere in qualche modo fisico, che deve avvenire nel pieno rispetto delle attuali realtà statali e possibilmente in base ad accordi internazionali, basati su progetti e percorsi istituzionali favoriti dagli strumenti previsti dalla comune appartenenza all'Unione europea, anche se al momento tutto ciò è ancora molto lontano dalla realtà. La realizzazione di questo ritorno dovrebbe essere favorita dall’abbattimento definitivo dei confini di Schengen anche con la Croazia e quindi dalla comune legislazione europea che non pone limiti alla presenza e alla libera circolazione per i cittadini europei, al diritto al lavoro e occupazione, di partecipare a bandi pubblici, alla possibilità di acquistare beni immobili, di investire, di avviare delle attività economiche, cosa che non potrà che favorire il parziale reinsediamento dei nostri connazionali, il ritorno di chi, per svariati motivi, decida di ristabilirsi nella terra dei propri padri.

Passando a qualche proposta di ritorno, Giuricin prospetta la possibilità degli insegnanti italiani di andare ad esercitare la loro professione nelle scuole e università in lingua italiana della Slovenia e della Croazia o presso le varie istituzioni della minoranza (casa editrice, stampa, radio e tv, centro di ricerche, ecc.). Ci potrebbe poi essere un ritorno di tipo economico, che è quello che potrebbe offrire i risultati migliori e più concreti anche a breve e medio termine realizzando dei progetti socio-economici atti a incentivare degli investimenti e delle attività economiche di vario tipo, che potrebbero attrarre un certo numero di giovani imprenditori, figli o nipoti di esodati, per favorire il loro reinsediamento nelle località  d’origine, con l’apertura di nuovi posti e opportunità di lavoro che andrebbero, direttamente o indirettamente, ad alimentare un tessuto di relazioni linguistiche e culturali più favorevole alla comunità italiana.

Ma la forma più importante di ritorno è certamente quella culturale, che riassume idealmente tutte le altre. Tale “rientro”, sostanzialmente legato all’eredità culturale di una comunità e al valore delle sue tradizioni è, a sua volta, indissolubilmente legato al concetto, più ampio, di “ripristino” e di “rigenerazione” del patrimonio e della presenza culturali della componente italiana in queste terre. Esso potrebbe essere favorito dall’aspetto psicologico, cioè dal desiderio, insito in ogni essere umano, di riscoprire e consolidare le proprie radici, che è un bisogno di identità, di sapere chi siamo e da dove veniamo e di poter tornare un giorno a casa, come Ulisse, dopo avere compiuto un lungo periplo. Il sogno, dunque, il mito, il bisogno umano del ritorno, che è sempre un ritorno a se stessi.

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