recensione di Anna Piccioni
Posso immagine il piacere e la gioia che dà un libro come questo, che ha visto la luce grazie all’Università Popolare e all’Unione Italiana di Fiume, ai tanti esuli Giuliano-Dalmati sparsi per il mondo. Le parole di Ottavio Missoni nella Prefazione lo dimostrano. Ritrovare…ritrovarsi nelle calli, nelle osterie, nelle “ciacole” della gente zaratina non è un lasciarsi prendere da ricordi e nostalgia, ma è un rinsaldare la propria origine, le proprie radici, che nessuno riuscirà mai a togliere, neanche mille miglia di lontananza.
Gastone Coen ha raccolto gli articoli pubblicati per una decina d’anni su “Panorama”, quindicinale italiano di Fiume, “articoli rievocanti la vita di una città che esiste ormai solo nella memoria storica e nel ricordo nostalgico dei suoi figli sparsi per il mondo”, e ne ha fatto un libro storico.
Il primo capitolo intitolato “La ducal città: da fortezza a giardino della Dalmazia” inizia con la descrizione di una “remotissima usanza popolare” la “maggiolata, quando Calendimaggio non era ancora Festa dei Lavoratori né di San Giuseppe”; la trasformazione dei bastioni fortificati in magnifici giardini, che allietarono le passeggiate dei Zaratini e anche dei suoi visitatori…”poi l’Apocalisse…che spazzò e disperse l’amabile microcosmo zaratino”.
Il “microcosmo zaratino” continua a pulsare nelle piazze davanti a forche, poi modernizzate in ghigliottine, madame la veuve...e il boia, o meglio “esecutore delle alte opere di giustizia”, è uomo di prestigio, ma a volte deve misurarsi col ribrezzo che i cittadini provavano verso di lui, tanto da rendergli difficile trovar casa…ma “La vita gaia del popolo – e non solo del popolo – zaratino ribolliva fra la processione e la forca, tra la cuccagna e la berlina”.
E’ curioso notare che ci sono poche date come punto di riferimento storico. I grandi eventi storici, arrivano a Zara con gran ritardo, e sono interpretati e tradotti dalla gente: lo spirito rivoluzionario del ’48 parigino si propaga in tutta Europa. Ma qui le decisioni si prendono tra “notolade, fraie e baraban”.
In ogni epoca la storia si vive e si fa in luoghi ben definiti: il teatro, il caffè e le osterie. E Zara non è da meno. L’importanza del Teatro come luogo di Cultura e d’incontro, che ha visto la grandezza di Eleonora Duse. E poi l’arrivo del turismo, la costruzione dei primi Hotel…luogo di villeggiatura
Ma le pagine più interessanti e più vivaci sono quelle che descrivono la vita nei Caffè, raffinati ed eleganti, e le Osterie, molto più abbordabili per la gente semplice, dove si scambiavano le notizie i pettegolezzi, “se petava la cantada” ciuciando, “bumbando gòti e bucàre de vin s’ceto. Domàcio!”.
E mentre la gioventù zaratina spopola i caffè e le Osterie, richiamati sul Don o in Kenya, quelli rimasti, donne, anziani, bambini combatteranno quotidianamente per mettere qualcosa “in pignàta” e in tavola.
“Co iera el re, bevevimo café
Co ‘l xe deventà imperador,
no ghe sentimo gnanca l’odor
e su ordine de Mussolini
i ne ga fregà anca i masinini”
Questi versi mettono in evidenza lo spirito dei zaratini, quel viva là e po’ bon, che molto ci avvicina, e aiuta a sopravvivere di fronte alla tragedia della guerra.
Attraverso queste pagine la vita di cento anni fa, prende forma e sonorità; e una volta di più posso affermare che la Storia è fatta dagli uomini comuni, senza fanfare e fronzoli.
Anna Piccioni