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Alcune riflessioni sul romanzo “Furore” di John Steinbeck
di Anna Piccioni

Nelle mie letture mi mancava il romanzo di Steinbeck Furore quindi l'ho acquistato nella nuova edizione integrale di Sergio Claudio Perroni, edito da Bompiani; non è mia intenzione farne una recensione, ma raccogliere alcune riflessioni per invitare a leggerlo. Devo confessare che all'inizio ero un po' perplessa poi invece introducendomi nella lettura sono stata letteralmente presa dalla storia, tanto di sognare la notte i personaggi, di sentirmi una di loro.

L'effetto empatico è stato fortissimo. La storia della famiglia Joad, una vera “odissea” come cita il curatore nella seconda di copertina, si snoda negli anni '30 quando il progresso, i trattori, avanza senza preoccuparsi degli uomini e delle donne e dei bambini che fino a quel momento avevano dato anima e corpo al loro lavoro di braccianti. Famiglie intere costrette ad abbandonare la “loro terra” e dirigersi nella mitica California che darà lavoro a tutti. La realtà sarà ben diversa: sfruttamento, fame, malattie, metteranno a dura prova la solidarietà familiare. “I randagi, i questuanti, adesso erano emigranti... avevano tutto lo sconfinato Ovest per peregrinare.

E sciamavano in cerca di lavoro; e le strade erano fiumi di gente...e altra gente arrivava dietro di loro... Nel Middlewest e nel Southwest era vissuta una semplice schiatta di contadini che non erano cambiati con l'industria, che non aveva mai lavorato la terra con le macchine e non conoscevano il potere e il pericolo delle macchine in mano private... I loro sensi non erano ancora ottenebrati dalle incongruenze della vita industriale.” (pag. 392) I trattori, la nuova tecnologia non ha bisogno di essere curata come con gli animali, ma ha bisogno solo di manutenzione. Dopo il lavoro le macchine possono anche essere lasciate sui campi; gli animali invece devono essere messi al riparo, curati, nutriti.

E così anche le famiglie che lavorano quei campi devono essere nutrite e rispondere al padrone e indebitarsi per compensare un cattivo raccolto. I debiti rimangono insolvibili. Poi arrivano le banche ormai proprietarie e i trattori guidati da uomini che senza umanità distruggono le misere case, forse meglio dire rifugi degli uomini. Ma per mettersi a posto la coscienza si distribuiscono volantini che mostrano una terra ricca di campi in attesa di braccianti: lavoro per tutti. Un lavoro per pochi centesimi che diminuiranno sempre più essendo così alta la domanda.

E la California non li vuole questi pezzenti che vengono dall'est. Quanto dei soprusi, delle umiliazioni, delle ingiustizie che la famiglia Joad è costretta a sopportare, sono riscontrabili nella realtà del XX1 secolo? È importante sottolineare qui un passo di Steinbeck che dovrebbe far riflettere per la sua attualità “… una grande verità della Storia. quando le mani in cui si accumula la ricchezza sono troppo poche, finiscono per perderla. E la verità accessoria: quando una moltitudine di uomini ha fame e freddo, il necessario se lo prende con la forza. E la piccola, ma sonora verità che echeggia lungo la Storia: la repressione serve solo a rinforzare e unire gli oppressi.” (pag. 331).

Ma i grossi proprietari ignorarono questi “avvertimenti” e investirono i loro grandi guadagni in armi e attrezzature a difesa dei loro beni, invece di provvedere con progetti di riforma per prevenire la rivolta, e comprenderne le cause. Il confine tra rabbia, furore e fame è molto sottile. Non posso non ricordare lo stile e il linguaggio a volte poetico, quasi pittorico nella descrizione dei luoghi: la Natura sembra condividere la tragedia di questa umanità abbandonata a se stessa. Concludo con le parole di Ma' Joad in risposta allo scoramento di Pa' Joad che ormai non ha più speranze né lavoro, né soldi: “Macché finita. Non è finita per niente, Pa'. E c'è un'altra cosa che sanno le donne...

Per l'uomo la vita è fatta a salti: se nasce tuo figlio, e muore tuo padre, per l'uomo è un salto; se ti compri la terra e ti perdi la terra, per l'uomo è un salto. Per la donna invece è tutto come un fiume, ove ogni tanto c'è un mulinello, ogni tanto c'è una secca, ma l'acqua continua a scorrere, va sempre dritta per la sua strada. Per la donna è così che è fatta la vita. La gente non muore mai fino in fondo. La gente continua come il fiume: magari cambia un po', ma non finisce mai... Tutto quello che facciamo serve per continuare... pure la fame... pure la malattia: qualcuno muore, ma gli altri si fanno più tosti. Uno deve soltanto viversi la giornata, la giornata e basta.” (pag. 589-590)

 

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