di Carmen Palazzolo
Ogni anno il 25 novembre si celebra la giornata internazionale per l’Eliminazione della Violenza sulle Donne, ufficializzata dalle Nazioni Unite nel 1999. La data è stata scelta per commemorare la vita, l’attivismo e soprattutto il coraggio di 3 sorelle: Patria, Maria Teresa e Minerva Mirabal, soprannominate “mariposas”, ovvero farfalle, che il 25 novembre vennero catturate torturate e uccise dai sicari di Trujillo per aver combattuto per la libertà del loro paese, quando la Repubblica Dominicana, durante gli anni ‘40 e ‘50 del XX , era sotto la sua dittatura. I loro corpi furono gettati in un dirupo per simulare un incidente. L’indignazione per la loro morte, che nessuno credette accidentale, sollevò un moto di orrore sia in patria che all’estero attirando l’attenzione internazionale sul regime dominicano e sulla cultura machista, che non riconosceva alle donne il diritto di un’occupazione nell’impiego pubblico e nella politica. Pochi mesi dopo il loro assassinio, Trujillo fu ucciso e il suo regime cadde. L’unica sorella sopravvissuta, perché non impegnata attivamente, Belgica Adele, dedicò la sua vita alla cura dei sei nipoti orfani e a mantenere viva la memoria delle sorelle.
È in ricordo di Patria, Maria Teresa e Minerva che ogni 25 novembre si inaugura un periodo di 16 giorni dedicato all’attivismo contro la violenza di genere, che si conclude il 10 dicembre con la Giornata Internazionale dei diritti Umani.
I simboli contro la violenza sulle donne, ormai da diversi anni, sono le scarpe e le panchine rosse. Le scarpe rosse rappresentano la battaglia contro i maltrattamenti e i femminicidi. La loro storia nasce in Messico, a Ciudad Juárez, città tristemente nota per il numero sconcertante dei femminicidi avvenuti negli ultimi vent’anni. Qui, l’artista Elina Chauvet, per ricordare le donne vittime di violenza, compresa la sorella, assassinata dal marito a soli vent’anni, nel 2009 posizionò in una piazza della città 33 paia di scarpe femminili, tutte rosse.
Il colore rosso è stato in seguito adottato per simboleggiare in maniera più ampia il contrasto alla violenza di genere, in particolare con le panchine, luogo simbolico attorno al quale raccogliersi per riflettere, per dire no alla violenza, e nello specifico alla violenza domestica, per sottolineare come la violenza sulle donne avvenga anche in contesti comunitari e familiari.
Passando al contesto italiano, l’ultima nota Istat sulle vittime di omicidio evidenzia che nel 2022 sono stati commessi 322 omicidi (+6,2% rispetto al 2021) e che l’età media delle donne vittime di omicidio è di anni 55,1 anni.
I dati mostrano inoltre che nel il 2022, nei casi in cui si è scoperto l’autore dell’omicidio, il 92,7% delle donne è vittima di un uomo, e che è in aumento il numero di donne uccise da parenti (0,14x100mila donne, 0,10 nel 2021).
Non basta però, a mio avviso, istituire delle giornate per ricordare i femminicidi, perché esse possono tutt’al più servire, appunto, per ricordare; né bastano le leggi, ci vuol altro per migliorare la situazione.
Nel caso delle violenza sulle donne è una questione innanzitutto di educazione familiare e scolastica ma anche di messaggi mandati da tutta la società.
Per quanto riguarda l’educazione familiare posso dire per esperienza diretta che quello del genitore è un mestiere difficile, che nessuno insegna ad esercitare ma qualcosa si può indubbiamente fare ad esempio organizzando incontri-dibattito fra genitori gestiti da uno psicologo specializzato in scienze dell’educazione, dove si impari, ad esempio, che un padre non consegna la propria carta di credito, che è un documento personale, neppure alla propria brava e amatissima figlia, come evidentemente ha fatto il padre di Giulia Cecchettin, perché ho letto che ella e il fidanzato si erano fermati lungo la strada per cenare e che lei aveva pagato con la carta di credito del papà.
Ma si possono imparare anche altre cose come il fatto che i figli sono tutti uguali nell’affetto dei genitori, nelle possibilità che vengono loro offerte, negli acquisti per abiti, l’automobile o altro; che nel caso, ad es., di dover far proseguire negli studi soltanto uno o qualcuno dei figli, quello non deve necessariamente essere il maschio ma il più dotato.
Molto più complesso è il discorso dei messaggi inviati da una data società, in questo caso quella italiana.
Quali sono questi messaggi?
Uno di questi messaggi, forse il fondamentale, mi sembra il fatto che il giovane italiano viene educato e quindi cresce con l’idea di essere il personaggio più importante della famiglia, anche in quella che formerà con una compagna, della quale deve essere il più colto; che sarà quello che ne reggerà le redini e la manterrà economicamente. Il giovane che interiorizza tutto ciò, quando la realtà non si dimostra coerente con esso è disorientato se non peggio e può vedersi crollare addosso il mondo intero e può compiere qualunque sciocchezza, anche grave.
Questi parametri devono essere cambiati: i figli, maschi e femmine, devono essere uguali nell’affetto e nel trattamento dei genitori. Un rapporto di parità deve vigere poi anche nel rapporto di coppia anche se la moglie ha studiato più del marito o guadagna più di lui; si vede che è stata più brava o semplicemente più interessata e volonterosa.
Sono cose che potrà essere difficile da accettare ma che l’affetto e il dialogo dovrebbero aiutare a superare.
Altro non mi viene alla mente e va alla lasciato alla vita quotidiana.