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Carmen Palazzolo

 Quest’anno, in memoria della persecuzione degli ebrei degli anni ’40, vorrei scrivere qualche cenno  dell’opera del vescovo di Trieste di quel periodo, mons. Antonio Santin, in loro difesa.

Mons. Antonio Santin divenne vescovo di Trieste e Capodistria il 3 settembre 1938 e il 18 settembre dello stesso anno Mussolini e i rappresentanti del governo giunsero a Trieste e, in una piazza dell’Unità d’Italia gremita di gente all’inverosimile, Mussolini proclamò le leggi marziali contro gli ebrei, che erano già in vigore in Germania.

 

Queste leggi, pubblicizzate come leggi a difesa della razza ariana, imponevano innanzitutto a tutti gli ebrei l'annotazione dello stato di razza ebraica nei registri dello stato civile. Molti furono poi i divieti loro imposti, fra i quali c’era quello dei matrimoni con gli italiani, di avere alle proprie dipendenze domestici di razza ariana, di essere assunti da pubbliche amministrazioni – come banche e assicurazioni –, di svolgere la professione di notaio, di giornalista e di insegnante nelle scuole dei ragazzi ariani. Fu poi disposto che – a cura delle comunità ebraiche –fossero istituite scuole specifiche per ragazzi ebrei in cui soltanto avrebbero potuto lavorare i professori ebrei. Fu vietato ai ragazzi ebrei che non fossero convertiti al cattolicesimo e che non vivessero in zone in cui i ragazzi ebrei erano troppo pochi per fondare scuole ebraiche – di iscriversi nelle scuole pubbliche.

Santin fu uno dei pochi Vescovi d’Italia che denunciarono apertamente e operarono concretamente a favore delle persone di stirpe e religione ebraica.

Subito a Trieste dopo la proclamazione delle suddette leggi marziali egli protesta con Mussolini per queste leggi. La comunità ebraica in città è infatti numerosa perché comprende 2908 persone pienamente integrate nella sua vita sociale, economica e culturale e il suo arcivescovo sente il dovere di tutelarla come quella dei cittadini cristiano-cattolici anticipando di ben trent’anni lo spirito del Concilio Vaticano II che, con Il decreto Unitatis Redintegratio sull'unità delle confessioni cristiane e la dichiarazione Nostra Aetate sulle religioni non cristiane, riconobbe la presenza di elementi comuni nelle altre Chiese cristiane e nelle altre confessioni religiose e ribadìsce che Cristo è la Verità e l'unica Via per giungere al Padre, ma riconosce il ruolo delle altre realtà religiose nel contribuire all'elevazione morale del genere umano. In particolare, la Nostra Aetate contiene il ripudio dell'antisemitismo teologico riconoscendo che «se autorità ebraiche con i propri seguaci si sono adoperate per la morte di Cristo, tuttavia quanto è stato commesso durante la sua passione, non può essere imputato né indistintamente a tutti gli Ebrei allora viventi, né agli Ebrei del nostro tempo.»

Ciò nonostante i provvedimenti previsti dalla legge marziale furono immediatamente applicati in tutti i settori della città, da quello politico e pubblico, al mondo finanziario, alle società sportive e culturali, al circolo della Stampa, come veniva puntualmente denunciato dal quotidiano Il Piccolo.

Santin, di fronte a questa epurazione massiccia ed ingiusta di persone che si guadagnavano onestamente il pane e qualificavano con la loro professionalità la vita della città, oltre a denunciare la situazione in un’omelia nella cattedrale di S. Giusto, ritenne di dover intervenire ancora una volta presso lo stesso Capo del Governo e gli chiese un appuntamento per rinnovare il suo dissenso e la sua denuncia per il provvedimento in sé e per ciò che accadeva a Trieste, nel territorio nella sua diocesi e a Fiume.

La fiducia della comunità ebraica nel vescovo della città è totale tanto che il dott. Morpurgo, suo segretario, gli affida i beni più preziosi della comunità perché li custodisca ed è ogni giorno in Curia per aiutare i suoi correligionari là nascosti. 

Visto che la barbarie continua, Santin aiuta, nasconde, fornisce documenti falsi che permettono a famiglie intere di riparare in Svizzera, in particolare tramite l’interessamento del dott. Guglielmo Reiss Romoli, direttore generale a Milano della società telefonica STET, e del dott. Apollonio, di Orsera, che esercitava la sua professione di medico oculista a Varese ed è quindi in grado, per la vicinanza della città al confine svizzero, di collaborare validamente e di mettere in salvo moltissimi infelici. Mette in salvo anche personaggi illustri: ad esempio procura un salvacondotto alla duchessa Anna d'Aosta ed alla principessa Irene.

La situazione in città peggiora ancora quando Trieste viene occupata dai tedeschi assieme a tutta la Venezia Giulia. 

E Santin così scrive nel libro Il tramonto: «Dovetti continuamente intervenire in difesa di innumerevoli persone di Trieste e della diocesi che venivano colpite. […] il dott. Carlo Morpurgo, segretario della comunità ebraica, era tutti i giorni da me per aiutare i suoi correligionari. Fu fatto quanto era possibile sia presso le autorità, sia nascondendo quanti erano in pericolo. E non solo a Trieste si intervenne a loro difesa».

Nel 1943, quando a Trieste, nell’Istria e sul Carso occupati dai nazisti erano all’ordine del giorno arresti e internamenti, nella solennità di S. Giusto Santin chiese a tutto il suo popolo di «trasgredire le leggi razziali e di realizzare quel cristiano ammutinamento che è degno di un discepolo di Cristo». 

Il 29 marzo 1944 protestò con una lettera al Prefetto di Trieste, Bruno Coceani, per il prelevamento dall’ospedale psichiatrico e dalla sezione dei cronici di tutti gli ammalati e vecchi di stirpe ebraica.

Santin riuscì a salvare molti ebrei, purtroppo non tutti. Il suo rammarico – fra i tanti – fu quello dell’internamento del dott. Morpurgo e della giovane intellettuale Pia Rimini, che non avendo ascoltato il suo consiglio, venne reclusa alla Risiera di San Sabba e poi deportata e mai più tornata.

Fonti: 

  • Ettore Malnati, IL VESCOVO ANTONIO SANTIN, e la tutela dei diritti umani nella Venezia Giulia, Luglioeditore, Trieste 2020
  • Antonio Santin, Ricordi autobiografici di un vescovo, Lint, Trieste 1978

 

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