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dei liberi pensatori

(Cherso, 25 aprile 1529 – Roma, 6 febbraio 1597)
di Patrizia Lucchi Vedaldi

Fornito di vivissimo ingegno, e avido di tentar vie non più battute, tutto quasi sconvolse il sistema della filosofia, propose nuove opinioni, e troppo angusto riuscendogli il campo di una scienza sola, fu a un tempo medesimo Filosofo, Geometra, Storico, Militare, Oratore, Poeta.
Così, tra il sette e l’ottocento, Gerolamo Tiraboschi, nel dispiacersi che non fosse ancora stata scritta diligentemente la sua biografia descrisse il Patrizi.

Francesco Patrizi nacque a Cherso veneziana il 25 aprile 1529. Della sua vita accennò in una lettera del 25 gennaio 1587 al cavalier Baccio Valori, giurista e letterato fiorentino. A causa degli scarsi indizi da lui in essa forniti e di omonimie, solo nel 1983 lo storico della filosofia Cesare Vasoli ha individuato correttamente suo padre. Era il pievano Stefano de Petris di Nicolò fu Antonio Zorzi, di nobile e abbiente famiglia chersina, morto improvvisamente a Venezia nel 1551, in missione per conto della Comunità di Cherso. Sua madre era Maria Radocca, di famiglia non patrizia. Quando rispose alla lettera di Baccio Valori, oltre a insegnare Platone all’Università, il Patrizi frequentava la corte estense ed era in amicizia e corrispondenza con mecenati, prelati, filosofi, letterati, scienziati, è pertanto comprensibile che non se la sentisse di raccontare aspetti della sua vita che avrebbero potuto offuscare l’immagine che si era faticosamente creato.

Numerosi sono stati gli studiosi che hanno fatto ricerche e scritto sulla sua vita, fra essi citiamo Stefano Petris, Isidoro Kamalic’, Sergio Cella, Cesare Vasoli, Luigi Tomaz e, ultima (2017), Patrizia Lucchi Vedaldi, che ha concentrato la sua ricerca sugli aspetti discordanti della sua vita. Di essa sappiamo che nel 1538, a nove anni e dieci mesi, suo padre lo imbarcò sulla galea Chersana, che stava salpando per unirsi alla spedizione contro la flotta turca, capitanata dal corsaro Khayral-Dīn Barbarossa. Rimase a bordo per più di due anni, durante i quali si esercitò da solo nella lettura, sotto lo sguardo incuriosito dello zio sopracomito. Giunto a Venezia con la Chersana nel 1542, lo zio lo spinse a frequentare la scuola d’abaco e quaderno mentre il padre, volendo che seguisse un percorso di studi a lui più consono, gli fece studiare grammatica. Andò, poi, a studiare a Igolstadt in Baviera, quindi di nuovo a Cherso. Arrivò infine all’ateneo patavino, dove iniziò a studiare medicina per poi passare, alla morte di suo padre, agli studi filosofici.

Terminati gli studi, fu lettore di Aristotele, amministratore di proprietà terriere, segretario personale, precettore, traduttore dal greco di manoscritti antichi, commerciante di manoscritti, editore, perennemente in difficoltà economiche ed alla ricerca di protettori e finanziatori delle sue pubblicazioni. Tuttavia, la sua ambizione era insegnare filosofia e dedicarsi ai suoi studi. Sostenne la corrente platonico-neoplatonica ed ermetica. Nel 1577, su invito di Alfonso II d’Este, ottenne finalmente la cattedra di filosofia platonica a Ferrara.
Rimase a Ferrara fino al 1592 quando, grazie al cardinale Ippolito Aldobrandini (1536-1605), che di lì a poco divenne papa Clemente VIII, passò all’Ateneo romano. Il nuovo incarico creò malumori, sia per il fatto che il Patrizi caldeggiava l’abolizione delle cattedre aristoteliche, sia poiché gli fu assegnato lo stipendio più alto. Morì a Roma il 6 febbraio 1597. Opere

Opere.

Pubblicò la sua prima raccolta nel 1553, dove raggruppò quattro testi scritti dal 1551. Il più noto è La città felice, in questo pamphlet intendeva dare delle indicazioni agli amici Girolamo della Rovere e Urbano Vigerio (divenuto coadiutore del vescovo di Senigallia), su dove e come edificare e governare una città. Gli altri testi sono Il Barignano. Dialogo dell’Honore, Discorso della Diversità de’ furori poetici, Lettura sopra il sonetto del Petrarca. La gola e ‘l sonno, e l’ociose piume. Nel complesso, in questa sua prima pubblicazione mette in luce le sue capacità professionali, relazioni sociali e aspirazioni, per cui sembra essere uno strumento creato appositamente per dimostrare come un filosofo può essere utile a un governante, e quindi candidarsi per un incarico professionale.

Da qui in poi, le dediche delle sue opere denotano lo stesso intendimento. Ne l’Eridano, per attirare l’attenzione di Ercole II d’Este, inventò un nuovo verso eroico. Il poemetto Il Badoaro, declamato ma mai dato alle stampe, fu invece scritto in onore del nobiluomo Federico Badoer, che aveva appena fondato a Venezia l’Accademia della Fama. Altre sue opere, tutte con dediche importanti, sono Discussiones paripateticae che gli valse il massimo riconoscimento dei critici contemporanei, Della Nuova Geometria, che è un lavoro oggi riconosciuto come innovativo, e la sua opera magna Nova de Universis Philosophia. Vanno ancora ricordate Historia dieci dialoghi, Della retorica dieci dialoghi, Commentario alla Milizia Romana di Polibio, L’Amorosa filosofia, Paralleli Militari.

Da anni esiste a Cherso, nel centro della cittadina, una grande statua del Patrizi, al quale i croati hanno cambiato il nome in Frane Petric’; dal 1992 l’Associazione filologica croata e la Città di Cherso organizzano ogni anno un convegno internazionale in suo onore.

Una menzione particolare merita Il Delfino, ovvero del bacio, perché si discosta dai suoi temi abituali e, più che un’opera filosofica, sembra essere il pretesto per raccontare una sua esperienza d’amore. Il tema è svolto in un dialogo tra il Patrizi stesso e un non meglio identificato Angelo Delfino, i due dissertano sul bacio, di come esso avviene e di ciò che prova chi bacia e chi è baciato.

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