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dei liberi pensatori

di Silva Bon

Una conseguenza collaterale della tragedia dell’Esodo è rappresentata dal progressivo impoverimento delle tradizioni di cultura materiale e popolare, legate all’allevamento del bestiame e alla coltivazione della terra.

Le pratiche di una conduzione secolare si interrompono con la frattura generata dall’abbandono dell’Istria da parte di pescatori, di contadini, di allevatori: i nuovi venuti portano con sé tradizioni diverse, che, ad esempio, cancellano anche drammaticamente la presenza sul territorio di alcune specie animali; introducono produzioni agricole molto lontane dagli antichi metodi di lavorazione dei campi, delle viti, degli olivi.
Da qui nasce un segnale di discontinuità forte, che ha ingenerato la necessità di operare per una ricomposizione soprattutto faunistica.

Importante la testimonianza di Livio Dorigo, che ho raccolta il 16 e il 23 aprile 2021:

“Il nostro Circolo di Cultura Istro Veneta “Istria” ha dedicato molto impegno alla tutela delle risorse genetiche autoctone del nostro territorio, in particolare a quelle legate anche alla produzione economica, seguendo l’indicazione del motto: Conosci il tuo territorio attraverso il bovino, la pecora, l’ape.

Il Circolo “Istria” vuole combattere qualcosa che si sta spegnendo, inselvatichendo, perché è molto importante curare il territorio: le parti troppo antropotipizzate e/o abbandonate non ritornano più com’erano prima, al loro modo di essere armonioso: la natura è un ecosistema complesso.
Le api, le pecore, i bovini: risorse genetiche autoctone. Hanno avuto ed hanno ancora un ruolo importantissimo. Legato al lavoro quotidiano, alla realizzazione di imponenti manufatti e monumenti, per far risorgere l’Istria come descritta da Cassiodoro.
Il bovino ha attratto grandemente la mia attenzione e il mio impegno, perché ha avuto un ruolo fondamentale nella cultura del nostro territorio. Il bovino istriano, oggi chiamato boscarin, il gigante bianco, è stato importante per dissodare e lavorare una terra dura, come la nostra e soprattutto nella zona carsica ha permesso buoni risultati. Inoltre è stato fondamentale nella conduzione delle cave, dove sedici cubie di bovini trasportavano su rulli massi di pietra giganteschi, quando non c’erano trattori. I bovini sono stati indispensabili, ad esempio, per l’edificazione dell’Arena di Pola, ma anche per le attività varie nelle cave di Aurisina.

Anche nei lunghi secoli di dominazione di Venezia il boscarin ha lavorato molto, perché trasportava il legname dal bosco di Montona: querce palustri che venivano viziate nella crescita con opportuni accorgimenti di curvatura per essere utili in Arsenale, così adattate, per la costruzione delle navi.

Fino a poco prima dell’Esodo, in Istria c’erano 100.000 soggetti – boscarin; poi, dopo l’Esodo, erano quasi spariti, totalmente spariti nella zona slovena e italiana.

Ho lavorato con i veterinari sloveni di Capodistria, veri collaboratori e amici; insieme siamo andati in Puglia per prelevare il seme di alcuni bovini; poi a Cremona, dove risiede un centro genetico, abbiamo recuperato le risorse genetiche, per utilizzarle con l’embrion-transfert. Il primo bovino nato è stato chiamato Primo, in onore delle origini italiane. Oggi ci sono diversi capi e alcuni sono arrivati anche sul Carso triestino.

Invece la pecora ha una storia meno lontana, è arrivata con i Cici, che fuggivano dalla loro terra, la Romania, in seguito alle invasioni musulmane, sono Istrorumeni. Essi si sono insediati nell’Istria interna, allevando la pecora carsolina istriana, che è completamente diversa dalle pecore allevate al di là delle bocche del Timavo. Nella Pianura Padana, nel Veneto, nel Friuli vive la pecora da carne, mentre la nostra è anche da latte: sono morfologie tanto diverse da sembrare non due specie, ma due razze diverse, e si distinguono immediatamente.

La pecora istro carsolina era andata in disuso, ma il territorio soffre non solo per la mancanza dell’ape ma anche del pascolo, che rasa il territorio e lascia le essenze poi impollinate dalle api: vi è un concorso complementare tra l’ape e la pecora.

Sono stato Presidente del Consorzio apicultori, perché volevo far conoscere il ruolo delle api, per proteggerle e per insegnare a proteggerci con i prodotti tipici delle api, strumento di educazione alimentare formidabile. Con il miele insegniamo i gusti, a cosa servono i gusti, così la ricerca di cibi dolci quando si è in ipoglicemia, di salati dopo aver sudato … per rimettere in ordine l’equilibrio osmotico del nostro essere.

‘L’uomo incontrò l’ape’, inizio simpatico per parlare delle api!
200.000 anni fa ad Altamura un uomo raccoglie il prodotto delle api in un anfratto scuro della grotta: è un graffito che riproduce un momento di sacralità, di ricerca del trascendente. Poi nei secoli e nei millenni, gli egiziani: un uomo inginocchiato che sta adorando le api in dimensione gigantesca. Poi il nomadismo sul Nilo. Poi in medicina i prodotti dell’alveare come sussidio terapeutico, aiuto alla chirurgia: è il propoli, che è batteriostatico e usato anche oggi, ferma i batteri ma non danneggia le cellule del nostro organismo. In Grecia era l’ambrosia degli dei. Nel Cristianesimo sant’Ambrogio, protettore delle api: leggenda vuole che aveva un eloquio così dolce perché quando è nato gli sono uscite le api dalla bocca!

‘L’ape e l’architetto ’: anche Karl Marx confronta l’intelligenza delle api con quella del lavoratore.
Le api sono condizionate dall’istinto, in gruppo con la cera che esce dall’addome costruiscono i favi, una con le zampette e le successive fanno un filo di cera e poi tanti fili e un foglio. La regina depone le uova, le operaie mettono il miele, il favo diviene la loro casa. Favo in Babilonia significava casa.

L’ape è importante per impollinare le piante, altrimenti impollinate solo dal vento, sono le anemofile. Senza le api queste piante sono dure, piene di silicio, non gradite dagli animali, mentre il trifoglio, l’erba spagna, l’erba medica sono molto apprezzate. L’ape come equilibratrice del territorio e sentinella ecologica nella catena tra gli animali e le piante, per stabilire il grado di inquinamento di un luogo.

Come Circolo “Istria” mi sono fatto carico di diffondere queste conoscenze. Sono andato in Istria per educare e proteggere il territorio: con il professor Pallavicini ho studiato il dna delle api per vedere se quello che ha detto il monsignor Moscardin a Cherso nel 1850 corrispondeva al vero. Lui diceva che qui, in Istria, vive una nostra ape: l’ape istro-dalmatica, che ha una morfologia a sé stante: sa volare con la bora e il fortunale, un comportamento etologico importante.

L’ape che viene dal Caucaso, è andata sul Baltico e ha una fisiologia e un colore diverso dalla nostra ape: è scura. La nostra ape è gialla e manda via il calore: condizioni climatiche diverse cui l’ape si è adattata. In Italia ogni regione ha il suo ecotipo.

Dopo aver succhiato il nettare dai fiori, le api ritornano all’alveare, riconoscendo il proprio anche dagli odori: ci sono anche le api sentinella che difendono la famiglia omogenea e mandano via chi sbaglia eventualmente alveare.
Il volo nuziale è dato dall’ape matica – madre, in slavo - piuttosto che regina. Tra le api non comanda nessuno; esse si capiscono a segnali, con una capacità di comunicazione meravigliosa. Quando in un alveare le api sono troppo numerose, l’ape vecchia va via, si mette su un ramo d’albero; le altre la seguono volando intorno con vibrazioni, alcune vanno alla scoperta di un posto buono, ad esempio un buco in un albero, un anfratto in una roccia, che abbia acqua molto vicino, e anche il pascolo … le esploratrici ritornano, confabulano, decidono dove andare, vanno e formano i favi di cera… l’ape regina nuova prima di cominciare a deporre, fa il volo nuziale, si incontra con i fuchi e poi torna dentro. Le altre api mantengono l’equilibrio del calore proteggendo gli spermatozoi, per evitare il troppo caldo o il troppo freddo.
Le api non devono essere spostate, altrimenti perdono le difese e diventano preda di altre avversità. Tutelare il patrimonio genetico delle api è tutelare l’ambiente”.

 

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